Non spingete l'Italia in un'altra guerra inutile

Chiunque, per quanto cinico e indifferente, comprende la tragedia della Siria

Non spingete l'Italia in un'altra guerra inutile

Chiunque, per quanto cinico e indifferente, comprende la tragedia della Siria con i suoi morti ammazzati, i bambini orfani, le città devastate da perduranti violenze. E chiunque avverte l'esigenza di non rimanere inerte di fronte allo scempio. Ma la domanda che bisogna porsi, e che merita una risposta lucida, è la seguente: cosa fare di concreto per aiutare un popolo dilaniato dalla guerra civile?

Gli Stati Uniti, sollecitati da più parti, meditano di intervenire militarmente. Anzi, hanno già deciso di mobilitarsi. L'Inghilterra, loro cugina inseparabile, pensa di fare altrettanto. Ed entrambi i Paesi, manco a dirlo, chiedono all'Europa di partecipare alla spedizione, a parole umanitaria. Si può fare? Tutto si può fare, ma conviene? E conviene a chi? L'Europa non ha una politica estera condivisa, ogni Stato membro pedala per conto proprio. La cancelliera Angela Merkel, anche se si considera una regina, rappresenta solo se stessa ed è troppo impegnata in campagna elettorale per assumere la leadership continentale.

Barack Obama ha ricevuto il Nobel per la pace senza aver fatto nulla per la pace, e ora crede di risolvere il problema siriano con le armi. Non gli è bastata l'esperienza dell'Irak? Anche noi (io personalmente) ci illudevamo che fosse esportabile la democrazia in Paesi che non sanno neppure che cosa essa sia. Oggi constatiamo che l'eredità di Saddam Hussein è stata gestita dai militari al peggio: la situazione a Bagdad è disastrosa e minaccia di ulteriormente degenerare.

Dodici anni di combattimenti in Afghanistan non hanno prodotto lo straccio di un regime accettabile. E abbiamo visto i risultati ottenuti in Libia: una guerra incomprensibile, chiamata di liberazione, che ha portato all'uccisione di Muammar Gheddafi, i cui successori si sono rivelati suoi epigoni, forse più crudeli di lui. Noi italiani siamo stati costretti, tirati per i capelli, a scendere in battaglia e abbiamo abbandonato sul campo contratti vantaggiosi dei quali si è appropriata la Francia. Bell'affare.

Abbiamo sparpagliato contingenti di nostri soldati in mezzo mondo, dal Libano al Kosovo fino alla Somalia, spendendo montagne di miliardi senza avere alcunché in cambio. Perdite, perdite, soltanto perdite. Di vite umane e di quattrini. E che dire dell'Egitto? Abbiamo ingenuamente salutato la deposizione di Hosni Mubarak come l'inizio della primavera araba. Abbiamo applaudito entusiasti ai rivoluzionari, convinti che grazie a loro il Medio Oriente sarebbe risorto, lasciandosi alle spalle una tradizione secolare di dispotismo sostenuto da pretesti religiosi. Abbiamo sbagliato tutto e non abbiamo capito nulla di quelle terre infernali dove esistono solo il petrolio e un fanatismo malvagio e feroce: terrorismo, teste tagliate, stragi.

Nonostante ciò continuiamo ad avere la presunzione di possedere la forza per educare certa gente alla democrazia, piegandola agli schemi occidentali, peraltro imperfetti, vecchi e stantii nonché bisognosi di profonde revisioni. Non ci vengano a chiedere, statunitensi e inglesi, di aderire a una grande alleanza per sconfiggere i cattivi che seminano odio e morte in Siria, quando non siamo in grado di identificare i cattivi separandoli dai buoni. Chi sono i buoni e chi sono i cattivi?

Inutile e dannoso tuffarsi in acque torbide sognando di ripulirle con la nostra presenza di infedeli, giudicati tali, perlomeno, da coloro che vorremmo soccorrere. Non abbiamo né i mezzi né la voglia di buttarci in un conflitto del quale vediamo gli effetti, ma ignoriamo le cause.

Prima regola, non mettere il becco in casa d'altri. Seconda regola, certi contenziosi giova che siano i litiganti stessi a dirimerli secondo il loro stile. Una nostra ingerenza complicherebbe soltanto il raggiungimento di una pace, fra l'altro improbabile.

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