La nuova Lega manda Borghezio in esilio

Lo zittiscono per morosità, lui accusa: "Nascondono i bilanci". Cota ricuce: "C'è l'acconto, può tornare tesserato"

La nuova Lega manda  Borghezio in esilio

Per un personaggio così chiassoso ti saresti aspettato una caduta altrettanto rumorosa. E invece è nel quasi silenzio, che la Lega ha fatto sapere a Mario Borghezio che grazie, ma qui possiamo pure fare a meno dei suoi servigi. Con una nota del deputato Davide Cavallotto, responsabile organizzativo del Piemonte, la terra dell’europarlamentare, con la quale semplicemente si informa che, essendo stato il Borghezio sospeso dal movimento «perché da tempo è moroso, visto che non versa la sua quota volontaria, non ha alcun titolo per rilasciare dichiarazioni per conto del movimento o richiedere informazioni in merito a questioni che non lo riguardano più».

È successo che, era il 16 aprile scorso, Borghezio abbia chiesto al segretario «nazionale» e governatore Roberto Cota la revisione di tutte le scritture contabili della Lega piemontese degli ultimi cinque anni, sollecitato, dice, «da moltissimi militanti» e insospettito dal fatto che «a me in cinque anni da presidente non è mai stata mostrata una carta». Ricevendo in risposta la nota di Cavallotto. Dice Borghezio che «solo due giorni fa ho versato 25mila euro, quindi la verità è un’altra: evidentemente non è piaciuto che io abbia chiesto che l’azione di pulizia annunciata da Bossi e Maroni non si fermi al Ticino», e cioè alla Lombardia. Replica Cavallotto che la richiesta di chiarezza sui conti non c’entra: «Borghezio dimentica che la decisione del Consiglio federale di sospenderlo per tre mesi risale al 29 luglio 2011».

C’era appena stata la strage di Oslo, Borghezio se n’era uscito difendendo la «crociata» di Anders Behring Breivik. Scaduti i tre mesi di sospensione, ricorda Cavallotto, il reintegro era vincolato al pagamento dei debiti.
Epperò dal luglio 2011 Borghezio ha continuato a dire, pardon, urlare la sua, senza che nessuno lo zittisse in nome del mancato rinnovo della tessera: «È uno scherzo da preti - attacca lui - evidentemente non vogliono che si metta il naso nei conti». Subito rimbeccato dagli avversari: «Voleva approfittare delle pulizie di Maroni per far fuori Cota».

Ieri sera, al termine di un lungo consiglio nazionale, la questione è rientrata. «Abbiamo mostrato i bilanci, come facciamo sempre in totale trasparenza - spiega Cota - Borghezio ci ha detto di aver versato un congruo acconto, creando le condizioni per tornare a essere tesserato».

Risolta la questione tecnica, resta il dato politico. Se non c’è una richiesta esplicita al vecchio bellicoso militante di moderare i toni, c’è però la consapevolezza di dover costruire un corso nuovo. Che in questo quadro la presenza di Borghezio sia oggetto di crescente imbarazzo non è un mistero. Per dire il clima, basta il commento di un deputato dell’area più moderata: «Auguro un futuro nel cinema a Borghezio e Belsito: “Animali alieni in Man in Black III”». Alieno, Borghezio, nella Lega 2.0.

All’inizio, quando la Lega dava della ladrona a Roma e non a se stessa, lui per tutti era «il grande Borghezio». Col tempo, dall’esperienza di governo alla costruzione della «Lega la potentissima» di Maroni, Borghezio è diventato prima scomodo, poi troppo ingombrante. Il repertorio di «calci nel culo ai terroni» e «restituiamo Napoli ai Borboni» con contorno di «complotto plutogiudaicomassonico» non si sa bene ai danni di chi, andavano bene quando a dettare la linea del trash era innanzi tutto il Capo, l’Umberto Bossi del celodurismo e delle «valli bergamasche armate». Ma nella nuova Lega non è più tempo del dagli ai «negri ebrei comunisti» di gucciniana memoria.

Lui, che è stato querelato, picchiato, persino impiccato quando gli anarchici appesero il suo fantoccio a testa in giù ricordandogli che «c’è ancora posto in piazzale Loreto», degli attacchi si è sempre

fatto beffe. Adesso, se gli chiedi se non si senta quantomeno isolato, risponde così: «Sono abbastanza ingombrante da non sentirmi mai emarginato. Se non mi vogliono andrò altrove: io sono come Woodcock, dove vado lavoro».

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