Da quando si è reinventato, Oscar Giannino è esploso come fenomeno popolare e prossimo leader politico simile a un Beppe Grillo per palati fini.
Oscar è la prova provata che per imporsi bisogna farsi bizzarri e colpire la fantasia. Ci vogliono abiti eccentrici, modi bislacchi e il visodouble face del calvo a barba folta. Non basta la preparazione, altrimenti il cinquantunenne Giannino avrebbe evitato le frustrazioni che soffrì per decenni, malgrado fosse dagli esordi quello che è oggi: un uomo capace, abituato - secondo tradizione del Pri da cui proviene - a documentare ciò che afferma. Ma rimandiamo a dopo il Giannino che fu, per dire subito ciò che è ora.
In primis, il dandy che incede nei talk show bastone in mano, giacche di velluto color aragosta, gilet di raso, pantaloni asparago e scarpe bicolori. Prende posto tra gli altri, punta il mento sul bastone e, con la barba che sporge, si immobilizza come un nume assiro.
Pare di pietra, ma appena uno dice qualcosa che non gli sta bene, scatta come un misirizzi e travolge il malcapitato di dati, parole, riflessioni, accompagnati da tutta la mimica italiana, braccia in aria, mani roteanti, occhi furenti, invettive verbali, preziosismi lessicali. La causa per la quale si batte è, come si sa, quella delle libertà individuali. Oscar è, infatti, un valente giornalista economico paladino del liberismo più spinto che ha dello Stato l'opinione che molti hanno di Di Pietro.
Tuttavia, il Giannino più ascoltato non è quello che si vede in tv, ma quello che si legge o che si sente. Dal 2009 ha due cattedre, dalle quali sdottora ogni giorno con seguito crescente, accentuato dalla palude in cui è caduto il centrodestra. Una, è il sito Chicago-blog, messo a sua disposizione dall'Ibl (Istituto Bruno Leoni), pensatoio liberista. In base all'uzzolo, Oscar dice la sua su Monti o Berlusconi, il vento e la pioggia, e i fan - tempestandolo di elogi entusiasti - aggiungono i propri commenti al verbo del Maestro. I messaggi sono migliaia il giorno, centinaia di migliaia l'anno. Tradotti in voti - parenti e amici inclusi - un milione di suffragi: tre per cento dell'elettorato nazionale.
Ancora maggiore è il seguito di Giannino dal suo secondo pulpito, Radio24, emittente del Sole24ore e Confindustria. Alle nove di ogni mattina, Oscar parla a ruota libera per un'ora su economia, politica e varia umanità. La trasmissione, Nove in punto, la versione di Oscar, è il suo regno. La sigla consiste in un miagolio rabbioso, omaggio ai gatti amati dal conduttore che definisce «felina» la trasmissione per dare un'idea umorale, imprevedibile e artigliata di se stesso. La promessa è mantenuta. Oscar che conduce in piedi, se la dice e se la canta, gesticolando come lo vediamo in tv, affabulando ininterrottamente, con divagazioni continue, frasi lasciate a metà, infarcite di «ergo», parole inventate tipo «soberrimo» e improvvise impennate di voce seguite da invettive: «somari», «sciocchi», «Stato ladro». La gente, pur non capendo per intero quel che dice, lo segue affascinata nella convinzione di trovarsi di fronte a un rito dell'intelligenza cui ha l'onore di essere ammessa.
Questi successi professionali - uniti alle miserie del centrodestra - hanno spinto Giannino a scendere in politica. In luglio, ha redatto un manifesto, Fermare il declino - meno spesa pubblica, meno tasse più merito e liberalizzazioni- anticamera della propria e altre candidature nel 2013. Lo hanno sottoscritto in circa trecento. Tra questi, il gruppo di Montezemolo, quelli dell'Ibl, i liberal-finiani Mario Baldassarri e Benedetto della Vedova, il repubblican-brunettiano Davide Giacalone, un pugno di moderati del Pd. Affiancano Giannino due economisti, Nicola Zingales e Michele Boldrin, di stanza in Usa. Nell'insieme, tutta gente che quattro anni fa ha creduto nel Cav ma che oggi - a cominciare da Oscar - lo ha cancellato, più indignata che delusa.
Per gli orfani del centrodestra a Nord del Po, Oscar è una reliquia. Dicono che senza la sua voce alle nove, gli onesti sgobboni che hanno ormai il rigetto del Pdl, non credono più nella Lega e diffidano del fighetto Montezemolo, sarebbero disperati. Tanto è vero che accorrono in frotte ai suoi comizi. Giannino ha infatti cominciato a girare il Nord Italia: Treviso, Padova, Bologna, Milano, Bergamo, dove ogni giorno è applaudito da migliaia di persone. Staremo a vedere.
Giorni fa, Oscar ha rivelato di portare il bastone non per vezzo ma dopo essere stato operato tempo fa di un cancro alla spina dorsale. Già a vent'anni gli era stato diagnosticato un tumore benigno allo stomaco. Mangia solo verdure ed è secco ai limiti dell'anoressia. Sempre stato così.
È uno che vive sui nervi. Alludendo a queste caratteristiche dietetiche, ha beffato l'anno scorso i vip invitati al suo secondo matrimonio. Nel menu del raffinato ricevimento, con tavoli addobbati per portate luculliane, erano annunciati piatti di sogno, tipo «Perle dell'Himalaya in castone di Alea delle Hawaii». Al dunque, e dopo ore di attesa, sono arrivati un pugno di riso e alcune verdure bollite, cibo standard dello sposo.
Questo spirito bizzarro è nato a Torino ed ebbe infanzia e adolescenza infelici. Non amava la casa in cui abitava, né il quartiere, né la gente e neppure la famiglia. Per andare al liceo classico, osteggiato dai suoi, dovette pregarli in ginocchio. «La rabbia - ha raccontato - era la molla fondamentale che provavo» e questa gli aguzzò l'ingegno. Dopo la laurea in Legge, entrò nel Pri. A 26 anni era segretario nazionale dei giovani, a trentuno (1992) portavoce del segretario, Giorgio La Malfa. Chi scrive, lo ricorda all'epoca lontano mille miglia dell'esteta che è oggi.
Era riccioluto, spiegazzato e un perfetto seccatore, incapace - nonostante il ruolo - di rapporti con i giornalisti. Si metteva sempre in mezzo, impedendo qualsiasi contatto diretto col segretario. Personalmente, l'avrei strozzato anche se un po' faceva tenerezza per quel modo infantile di darsi importanza.
Con La Malfa ruppe nel 1995 perché dopo avere spostato il partito a sinistra (Alleanza democratica) di colpo lo riposizionò nel centrodestra e Oscar, per ragioni di coerenza, si oppose al giro di valzer. Fu licenziato e cominciò un momentaccio. Per superarlo, andò un anno negli Usa a studiare economia, ci mise di mezzo un matrimonio (poi fallito) e fu infine accolto da Giuliano Ferrara al Foglio, felice viatico per una carriera giornalistica costellata di direzioni. Soprattutto, cambiò aspetto. Persi i capelli, li compensò con la barba, assumendo l'aria da scienziato pazzo, perfetta per bucare lo schermo.
Appassionato di stoffe e sete, ha gettato alle ortiche
i jeans e l'aria ombrosa dei tempi di La Malfa, e disegnando da sé abiti e bombette si è dato quell'aria vittoriana che oggi è il suo marchio, la base del suo successo e la ragione per cui abbiamo fin qui parlato di lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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