Le lettere di Cospito dal carcere: così organizzava il terrorismo internazionale

Le lettere di Cospito dal carcere invitano i terroristi a organizzare l'organizzazione violenta internazionale

Le lettere di Cospito dal carcere: così organizzava il terrorismo internazionale

In una intervista Andrea Orlando, che quando era guardasigilli decide di non revocare il 41 bis a Bernando Provenzano nonostante tre procure stabilirono che era incompatibile con quel regime, ha detto che invece ad Alfredo Cospito andrebbe revocato. "Non credo di dover spiegare perchè è più semplice dimostrare la pervasività dell'organizzazione mafioda fuori e dentro il carcere rispetto al movimento anarchico". Parole dell'ex Guardasigilli.

Pubblichiamo alcuni stralci delle lettere che Cospito inviava dal carcere agli anarchici. Queste sono la dimostrazione di quanto fossero organizzati e pervasivi e di come Cospito li incitasse alla violenza. Tutti gli stralci qui di seguito sono stati scritti da Cospito nel 2019 mentre si trovava nel carcere di Sassari. Parole di cui non si è mai pentito ma che continua a rivendicare.

Dal carcere Cospito invita alla violenza internazionale: "Che sia in una prospettiva sociale o antisociale o attraverso l’organizzazione informale o specifica di sintesi o individualmente l’unica discriminante dal mio punto di vista per non farsi strumento dei riformisti è la violenza insurrezionale. Bisogna iniziare subito, adesso a praticarla, ognuno secondo l’intensità necessaria per la propria progettualità. Una strategia che non include lo scontro diretto, armato col potere è destinata al recupero, al fallimento, alla sconfitta."

Agli anarchici volevano tenere basso lo scontro, Cospito da dentro al carcere invitava ad alzarlo: "Accettare queste logiche proprio adesso che questo muro si sta incrinando è più che mai suicida e nonostante tutto, ancora oggi, in questo periodo di crisi sistemica, troppi “anarchici/e e rivoluzionari/e” cadono nella trappola senza neanche accorgersene. Ogni volta che evitiamo lo scontro di piazza perché nell’assemblea si è deciso un corteo 'comunicativo'. Ogni volta che durante il picchetto di uno sciopero si sottostà alle decisioni prese dai rappresentanti di 'base' evitando lo scontro violento 'suicida' con gli sbirri. Ogni volta che per mantenere la propria casa occupata o 'centro sociale' si media andando verso la pacificazione, questo muro si rafforza. Alla base di questo rafforzamento il continuo rimandare lo scontro violento e armato col sistema. Bisognerebbe trovare il coraggio di mettersi contro la maggioranza dei nostri stessi compagni/e assumendoci la responsabilità di alzare il livello dello scontro. Solo l’irruenza rabbiosa dell’iniziativa individuale scavalcando la 'razionalità' delle assemblee può darci questa forza, sconfiggendo titubanze e paure".

Sempre Orlando, insieme a molti altri, sostiene che l'essere "anarchico" di Cospito è per definizione contrario a un'organizzazione. In realtà l'anarchia dei terroristi è verso lo Stato, non all'interno della loro chiara organizzazione.

"A questa concezione viva, “nichilista” dell’essere anarchico/a si affianca il rapporto prassi – teoria. La teoria per essere efficace deve nascere dalla prassi, non il contrario. Solo scontrandosi armi in pugno con il sistema possiamo costruire l’azione che ci permetterà di dotarci di quegli strumenti “organizzativi”, “informali” che ci consentiranno di contribuire in maniera forte a quella “internazionale” (strumento per incidere in maniera efficace sulla realtà) di cui sentiamo come anarchici/e tanto il bisogno. Noi anarchici questa internazionale ce l’abbiamo nel sangue; la nostra visione contro stati, confini, il nostro rifiuto di qualunque nazionalismo ci porta per mano verso questa prospettiva, bisogna solo concretizzare la risposta a questo bisogno."

Cospito spiega la necessità di organizzarsi senza che questo intacchi la libertà individuale: "Sono fermamente convinto che il nodo che bisogna sbrogliare per diventare più incisivi e arrecare il maggior numero di danni a questo sistema iper-tecnologico che si regge su due stampelle, capitalismo e stati, sia quello di come “organizzarsi” senza tradire noi stessi, senza cedere alcuna libertà individuale nel farlo. La mia adesione al progetto FAI-FRI la dice lunga su quale secondo me è la strada da percorrere e cosa dovrebbe essere questa “internazionale”. E organizzarsi per Cospito significa essere terroristi: "Il terrorismo è una pratica che gli/le anarchici/e (come quasi tutti i movimenti rivoluzionari e di popolo) hanno sempre utilizzato. Non mi stancherò mai di dirlo per quanto sconveniente e foriero di repressione possaessere, perché credo che l’onestà intellettuale e la coerenza siano legati a doppio filo, e per essere credibili e quindi efficaci nell’azione bisogna essere onesti con se stessi e con gli altri, e non ragionare secondo la convenienza immediata ma con la ragione in prospettiva. Il terrorismo inteso come pratica che sparge terrore nella classe dominante come fece Emile Henry, come fecero gli algerini colpendo i bar francesi (infiniti gli esempi), per quanto possa essere discutibile sul piano “morale” non ha mai isolato nessuno e la storia che ce lo dice. Il terrorismo dal basso verso l’alto ha tutte le giustificazioni del mondo".

Cospito dal carcere invita all'azione: "Di conseguenza se il capitalismo si “ristruttura” non deve cambiare il nostro modo di 'organizzarci' perché è nei mezzi che usiamo che vive la nostra anarchia". Cospito spiega che l'organizzazione terrorista è internazionale: "Più vicina alla mia visione della pratica anarchica la tendenza informale agisce 'organizzandosi' in mezzo mondo attraverso campagne internazionali indette da gruppi di affinità, colpendo a macchia di leopardo in maniera caotica e nichilista. L’aria è satura di elettricità, questa tensione si avverte persino in questa cella. Convinto, come sono, che stiamo andando inesorabilmente incontro ad una 'tempesta perfetta', non possiamo permetterci di mettere da parte alcuna ipotesi di lotta. Tanto meno possiamo rinunciare alla violenza in tutte le sue sfumature e gradazioni".

E ancora: "Per quanto sembri difficile bisogna riuscire a far convivere la suggestione del 'mito' con la riflessione della 'progettualità'. Solo così la 'rivoluzione' tornerà ad essere una prospettiva reale per milioni di sfruttati/e perdendo la sua connotazione di “attesa dei tempi maturi” che me la rende oggi una parola vuota, nemica. Attraverso la rivolta individuale ognuno di noi, in gruppo o da soli, una passo alla volta, un attacco alla volta ridaremo nuova vita all’idea di rivoluzione restituendogli un senso concreto, anarchico".

E infine: "È qui che entra in gioco la visione anarchica dell’azione. Molto più di una ginnastica rivoluzionaria, di un semplice farsi trovare preparati/e quando arriverà il collasso del sistema.

È nell’azione che l’anarchico/a si realizza, esiste in quanto tale. È nei singoli gesti di distruzione, focolai di rivolta e di insubordinazione, che l’anarchico/a vive la sua anarchia subito, oggi, spezzando l’attendismo".

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