E' un po' come il bambino che morde il cane. A Prato, 195mila abitanti con il 20% della popolazione cinese, un cittadino con gli occhi a mandorla ha denunciato un suo connazionale per sfruttamento. Primo caso in Italia. Si sa che in quell'ambiente la manodopera in nero che sfrutta minori è elevatissima, ma mai era successo che uno di loro facesse la spia. Il vento evidentemente sta cambiando e questa storia è destinata ad aprire una breccia nel marcio mondo del lavoro al nero cinese legato alla Triade, organizzazione criminale di stampo mafioso di origine cinese.
La Procura di Prato ha aperto un'inchiesta per lo sfruttamento dei lavoratori clandestini in una ditta cinese della città: ed appunto è la prima volta che questo avviene in seguito alla denuncia di un lavoratore orientale.
Un giovane cinese, con evidenti segni di invalidità, si è presentato all'ufficio immigrazione del Comune di Prato ed ha dichiarato di essere "vittima di un gravissimo infortunio presso la ditta cinese dove stava lavorando in nero".
Ha raccontato di essere "arrivato in Italia clandestinamente qualche anno fa" e che "da subito ha iniziato a lavorare presso un'impresa cinese senza permesso di soggiorno e senza un contratto di lavoro".
Per circa un euro l'ora - secondo le testimonianze registrate dagli uffici del Comune di Prato - il giovane lavorava dal lunedì alla domenica, dalle 7 del mattino fino all'una di notte. "Anche gli altri operai - ha raccontato il cinese - lavoravano senza tregua e con macchinari mal funzionanti e molto pericolosi".
Nei giorni scorsi, proprio a causa del mal funzionamento dei macchinari, il giovane è rimasto ferito riportando lesioni e gravissime ustioni di secondo e terzo grado. Il Comune di Prato spiega che il giovane cinese, in quella circostanza "venne abbandonato davanti al pronto soccorso dai connazionali e sottoposto a delicatissimi interventi".
Il servizio immigrazione comunale, dopo aver verificato che il racconto del cinese fosse veritiero, ha deciso di assisterlo per redigere la denuncia penale contro i suoi aguzzini e chiedere per lui un permesso di soggiorno per motivi di "protezione sociale", previsto dalla legge per tutti coloro che, irregolari, denunciano situazioni di grave sfruttamento.
E grazie alla collaborazione della questura, in pochi giorni il cittadino cinese ha ottenuto il permesso di soggiorno ed è stato assistito dal servizio immigrazione del Comune di Prato anche nelle fasi successive alla redazione della denuncia-querela contro il datore di lavoro.
"La soddisfazione più grande per il servizio immigrazione è poter comunicare che attualmente il cittadino cinese è stato inserito in un progetto anti-tratta in una città italiana, lontano da Prato, dove potrà reinserirsi in un contesto lavorativo e sociale", ha spiegato l'assessore all'integrazione, Giorgio Silli.
A Prato vive una delle più grandi comunità cinesi d'Europa. Alcune zone della città laniera, come quella intorno a via Pistoiese, sono quasi interamente abitate da asiatici. Ma quale sia realmente il numero dei cinesi nella seconda città toscana è impossibile calcolarlo. Il sindaco Pdl, Roberto Cenni, parla di 45mila persone di nazionalità cinese su una popolazione di 70mila stranieri residenti. Ma come si fa a calcolare i clandestini? Secondo alcuni esperti sarebbero circa 50 mila. La prefettura di Prato ha fatto una stima basandosi sul numero di macchine da cucire che generalmente si trovano quando si va a fare un controllo in una azienda. Mediamente ci sono tra le 15 e le 20 macchine, pensando che per ogni postazione ci sia un lavoratore e moltiplicando questo numero per le 2.100 aziende di cucitura abbiamo oltre 30mila cinesi, che sommati ai regolari, circa 18mila, fanno 50mila.
Il tema della manodopera clandestina e dello sfruttamento è stato il cavallo di battaglia della campagna elettorale che contribuì alla clamorosa affermazione del centrodestra in una delle storiche roccheforti della sinistra, con la vittoria del sindaco Cenni, non a caso imprenditore del settore moda.
E proprio il sindaco in questi giorni ha avviato prove tecniche d'intesa diplomatica sui temi dei rifiuti e della sicurezza. Cenni, insieme al suo vicesindaco Goffredo Borchi, è andato a Roma per incontrare l'ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia, S.E. Ding Wei.
"Si è trattato di un incontro cordiale - ha detto al termine il primo cittadino pratese - durante il quale l'ambasciatore ha confermato la disponibilità ad essere valido interlocutore su Prato nei confronti della comunità cinese, ad esercitare quindi il ruolo di un punto di riferimento credibile che ci aiuti a risolvere i problemi causati dai comportamenti di una parte della sua comunità".
Durante l'incontro il sindaco e l'ambasciatore hanno trattato temi come l'igiene urbana, la raccolta dei rifiuti e l'uso indiscriminato di bombole di gas gpl. "Su questi temi - ha sottolineato Cenni - l'ambasciatore Ding Wei si è fatto parte diligente per affrontare i problemi insieme al Console Generale di Firenze Wang Xinxia, ed operare attraverso le associazioni di cittadini cinesi attive sul territorio. L'obiettivo infatti è quello di porre fine con solerte progressione ai comportamenti scorretti".
Fra i temi di carattere economico sono stati discussi alcuni investimenti in città, in particolare sul fronte della cultura. "È auspicabile - ha concluso il sindaco Cenni - l'arrivo in città del "798", una delle principali organizzazioni culturali cinesi, attraverso un rapporto di collaborazione e di sviluppo con il Centro Pecci. Questo porterebbe con un ritorno economico e culturali sulla nostra città".
"Gli uffici del servizio immigrazione hanno dimostrato di avere esperti e professionalità capaci di accogliere situazioni molto delicate e gestirle, portandole a buon fine - ha concluso l'assessore all'integrazione, Silli -. E' stata fondamentale anche la collaborazione delle istituzioni tutte, che dalla Asl, alla prefettura, la questura, all'Inail fino alla procura, hanno contribuito alla realizzazione di tutti i risultati fino a qui ottenuti. Nonostante la possibilità data dalla legge italiana, è stata la prima volta che un cittadino cinese si è presentato a dichiarare, dettagliatamente, la situazione di sfruttamento nella quale si era venuto a trovare, senza nemmeno conoscere la possibilità di avere, per questo, il rilascio di un permesso di soggiorno.
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