Grasso, povero untorello. Ma non sarà lui a bloccare le riforme

Il presidente del Senato colleziona un'altra gaffe: "L'udienza continua"

Grasso, povero untorello. Ma non sarà lui a bloccare le riforme

Non sarà il «povero untorello» Piero Grasso a bloccare il cammino delle riforme. Anche se il «povero untorello» è il presidente del Senato, cioè la seconda carica dello Stato. Perché il povero Grasso non è finito sulla poltrona più alta di Palazzo Madama, a poca distanza da quella altissima del Quirinale, al termine di un percorso politico ricco ed articolato che lo ha posto in uno dei vertici più significativi delle istituzioni.

È solo un nominato miracolato. Ed in quanto Presidente della Camera Alta della Repubblica è un nominato più miracolato di ogni altro parlamentare. Se Pierluigi Bersani non avesse voluto inserire nella lista del Pd un rappresentante del partito dei giudici militanti non sarebbe mai finito in Senato. E se non avesse deciso di blandire il Movimento Cinque Stelle pagando loro il pedaggio di un candidato giustizialista per il vertice di Palazzo Madama e di una candidata ricca solo di banalità politicamente corrette per quello di Montecitorio, il povero Grasso, così come la povera Boldrini, non sarebbero mai finiti a far compagnia al vegliardo togliattiano Napolitano nel dimostrare come sia caduta in basso l'Italia repubblicana.

Per questo il centrodestra non dovrebbe reagire esageratamente alla decisione di Grasso di far costituire il Senato come parte civile nel processo contro Silvio Berlusconi per la presunta compravendita di parlamentari all'epoca della caduta del governo Prodi. È sufficiente denunciare che l'atto del «povero untorello» è un gesto maramaldesco di un piccolo esibizionista, il gesto politicamente imbarazzante di un modesto ex magistrato che non sa resistere al richiamo della foresta del più irresponsabile giustizialismo giudiziario. Ma bloccare il percorso delle riforme sarebbe un clamoroso errore. Perché il comportamento di Grasso è solo in apparenza una pugnalata alla schiena di un avversario politico come Silvio Berlusconi, che ha già dovuto subire la nefandezza della espulsione dal Senato. Ma è soprattutto un problema politico per la sinistra e per il nuovo segretario del Partito democratico Matteo Renzi, che ora ha la conferma definitiva che le uniche e sole resistenze al suo progetto riformista provengono dall'interno della sua area politica.

Da un punto di vista politico, infatti, Grasso non ha messo in difficoltà il leader del centrodestra. Che, anzi, può a ragione citare l'episodio a dimostrazione e conferma che certa sinistra concepisce il confronto con l'avversario come semplice persecuzione «perinde ac cadaver». Ha fatto prendere atto a Renzi che se vuole portare avanti il disegno delle grandi riforme non deve solo superare le resistenze dei conservatori istituzionali della sinistra, battere la minoranza interna degli irriducibili nostalgici del dalemismo e svegliare dal lungo sonno post comunista un partito fermo al passato.

Deve anche affrontare il «vasto programma» della lotta a quei «poveri untorelli» alla Grasso che hanno una smania di protagonismo direttamente proporzionale alla loro totale insipienza politica. Ed incominciare a calcolare quanti voti farà recuperare a Berlusconi alle prossime elezioni il comportamento politicamente demenziale di chi ha scambiato la Presidenza del Senato per la Procura di Napoli.

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