Preti pedofili, la Chiesa:  denuncia non è obbligo

"Non si può chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale". Ma si aprono spiragli nel caso di indagini o procedimenti penali

Preti pedofili, la Chiesa:  denuncia non è obbligo

diNon deve stupire che nelle nuove «Linee guida» sulla pedofilia che la Conferenza episcopale italiana ha approvato nelle scorse ore durante l'annuale assemblea generale in corso a Roma non è contemplato per i vescovi l'obbligo di denuncia alla magistratura del prete sospettato di pedofilia. La Chiesa cattolica, infatti, si è semplicemente adeguata alla legge italiana: nei Paesi dove quest'obbligo è previsto per legge - non è il caso dell'Italia - esso viene recepito nelle «Linee guida» della Chiesa locale, mentre laddove l'obbligo non esiste non viene inserito. Certo, eccezioni ce ne sono. Tra queste l'Irlanda dove, nonostante non vi sia l'obbligo di denuncia, i vescovi hanno voluto inserire la norma. Troppo grande è stato lo scandalo pubblico della pedofilia nel clero perché la chiesa irlandese non desse un segnale forte. Per tutto il 2010 e anche per il 2011 i vescovi locali sono stati messi sul banco degli imputati da parte dell'opinione pubblica indignata dal fatto che i preti colpevoli al posto di essere denunciati sono stati semplicemente spostati di diocesi in diocesi.

Ieri il segretario della Cei monsignor Mariano Crociata ha invece spiegato che la Chiesa italiana non può «chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale». E ancora: «Non possiamo chiedergli di prendere l'iniziativa» di denunciare un caso di abusi su minore commesso da uno dei suoi preti di cui fosse venuto a conoscenza perché «contrasta con l'ordinamento», anche se naturalmente «non gli viene impedito». Ma attenzione: il fatto che non gli venga impedito non significa che il vescovo possa infrangere il segreto confessionale. Per la Chiesa in nessun caso i peccati confessati nel sacramento penitenziale possono essere denunciati. I vescovi, in sostanza, possono denunciare il prete colpevole solo se sono venuti a conoscenza dei suoi misfatti fuori dal confessionale. Perché il segreto del confessionale non può essere infranto? Nel XIII secolo fu il chierico inglese Tommaso di Chobham a spiegarne in un Manuale il motivo: «Il sigillo della confessione deve essere segreto perché lì il confessore siede come Dio e non come uomo».
Dunque nessun obbligo di denuncia, ma cooperazione sì. Ha detto, infatti, Crociata: se per gli illeciti commessi da membri del clero «sono in atto indagini o è aperto un procedimento penale secondo il diritto dello Stato, risulterà importante la cooperazione del vescovo con le autorità civili, nell'ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e civile».
Crociata ha ieri spiegato che le linee guida della Cei hanno avuto «un passaggio informale ma autorevole» dalla Congregazione per la Dottrina della fede, che «ha preso atto che la Conferenza episcopale italiana ha recepito debitamente» quanto richiesto dal Vaticano nel 2010, quando una Lettera Circolare dell'ex-Sant'Uffizio aveva chiesto a tutte le conferenze episcopali del mondo di dotarsi di linee guida per affrontare in modo adeguato i casi di abuso. Quando poco dopo essere stato eletto al soglio di Pietro Benedetto XVI nominò prefetto della Dottrina della fede l'americano William Joseph Levada lo fece anche per la sua competenza in materia di pedofilia. Negli Stati Uniti aveva vissuto in prima persona il problema tanto che nel nel 2006 fu chiamato a testimoniare a San Francisco in merito ad abusi commessi da alcuni preti quando, prima del 1995, era vescovo a Portland.

Sono 135 i casi di pedofilia tra il clero in Italia che riguardano il periodo 2000-2011 e che sono emersi nell'ambito di una ricognizione effettuata dalla stessa Cei in vista della pubblicazione delle

linee guida. «Di questi casi - ha spiegato ancora Crociata - 77 sono le denunce che risultano alla magistratura, 22 sono stati condannati in primo grado, 17 in secondo, 21 hanno patteggiato, 12 i casi archiviati, 5 assolti».

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