Pure i giudici si tradiscono: la Severino non è retroattiva

Nella fretta di depositare le motivazioni del verdetto bis la corte d'Appello fa uno scivolone e scrive che l'incandidabilità è sanzione amministrativa

Pure i giudici si tradiscono: la Severino non è retroattiva

E adesso chi lo sa se è stato solo uno scivolone dei giudici, un lapsus sfuggito nella fretta di scrivere e depositare le motivazioni della condanna di Berlusconi; ed è anche difficile immaginare cosa accadrà in concreto, ovvero quale conto ne terranno i senatori chiamati a valutare la cacciata del Cavaliere dal Parlamento. Di certo c'è che ormai non si può tornare indietro: le motivazioni della sentenza con cui il 19 ottobre scorso la Corte d'appello di Milano inflisse a Berlusconi due anni di interdizione dai pubblici uffici come pena accessoria della condanna per frode fiscale nel processo diritti tv sono depositate in cancelleria, firmate, controfirmate e timbrate. Irrevocabilmente.
Doveva essere la pietra semi-tombale sulla carriera politica del Cavaliere, l'ultimo passaggio prima della sua estromissione per indegnità da Palazzo Madama. E invece, quasi buttato lì nella quinta delle nove pagine, c'è il sassolino che rischia di bloccare tutto l'ingranaggio. Due parole che per i difensori dell'ex premier e per numerosi esponenti del Pdl dimostrano che dal Parlamento Berlusconi non può essere cacciato. Non almeno con la legge Severino, il decreto anticorruzione sulla cui interpretazione si lacera da settimane la Giunta per le elezioni del Senato. E di cui paradossalmente sono proprio i giudici milanesi a dare la lettura che ora il centrodestra impugna per salvare il suo leader.
Cosa hanno scritto il giudice Maria Rosaria Mandrioli e il presidente della terza sezione d'appello, Arturo Soprano? Che Berlusconi è colpevole di frode fiscale, che fu «ideatore, organizzatore e fruitore» del sistema di prezzi gonfiati, e «il ruolo pubblicamente assunto dall'imputato, non più e non solo come uno dei principali imprenditori incidenti sull'economia italiana, ma anche e soprattutto come uomo politico, aggrava la valutazione della sua condotta»; e che insomma due anni di interdizione dai pubblici uffici sono il giusto corollario della condanna a quattro anni di carcere per frode fiscale.
E fin qui tutto come previsto.
Ma per arrivare ad emettere la sentenza, la Corte ha dovuto prima scrollarsi di dosso le due eccezioni di incostituzionalità che sabato 19 ottobre, quando si tenne l'udienza, vennero avanzate dai legali dell'imputato. In particolare quella sulla legge Severino, che prevede anch'essa la cacciata dalle cariche elettive di chi ha incassato una condanna a più di due anni di carcere: un assurdo doppione, secondo i legali, della interdizione dai pubblici uffici prevista dalla legge penale. L'eccezione, dice la Corte d'appello, è «irrilevante» e «infondata». E per spiegarlo fa presente che la decadenza prevista dalla Severino non è una sanzione penale, come dimostra chiaramente il fatto che a emetterla sia l'autorità amministrativa e non il giudice («la sanzione di incandidabilità, discendente dalle sentenza di condanna, è riservata all'Autorità Amministrativa»).
Neanche il tempo per le motivazioni della sentenza di approdare sui siti internet, ed ecco che arrivano le reazioni del centrodestra. Inizialmente critiche sulla condanna a due anni. Ma poi, appena viene notato quel passaggio, il clima cambia di colpo. Perché i giuristi del Pdl si accorgono che la sentenza può aprire una via di fuga inaspettata nel dibattito in corso in Senato. Quale sia la natura della decadenza prevista dalla Severino è tema assai dibattuto. Se fosse considerata una sanzione penale, come ritengono anche giuristi progressisti, sarebbe ovviamente inapplicabile al caso di Berlusconi, perché una delle poche certezze del mondo del diritto è che le norme penali non possono essere applicate a reati avvenuti prima della loro entrata in vigore. Il centrosinistra e i grillini, per appoggiare la tesi della decadenza, si sono finora appoggiati a una sentenza del Consiglio di stato secondo cui la Severino non è una norma penale e neppure amministrativa, ma un requisito per la candidabilità e la permanenza della Camera. Ora invece la Corte d'appello milanese stabilisce che ad applicare la Severino deve essere la «Autorità amministrativa». Dunque, dice il centrodestra, è una sanzione amministrativa.
Ed ecco quanto la legge 689 del 1981 stabilisce all'articolo 1: «Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione». Punto, fine.


E adesso? Di fronte alla esultanza del centrodestra, «fonti giudiziarie» citate ieri dall'Ansa cercano di riparare, spiegando che «poiché la decadenza è una sanzione amministrativa non vale la regola della irretroattività». Ma la sentenza è lì, la legge 689 pure. E giochi che sembravano fatti potrebbero riaprirsi.

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