Quei sindacalisti diventati liquidatoriil commento 2

di Guglielmo Epifani è stato scelto a guidare il congresso del Pd per precise caratteristiche: una personalità non troppo spiccata che rassicurasse le anime del partito in dura lotta tra loro, una capacità di ricucire legami popolari oggi logorati (l'attività da sindacalista è considerata in tal senso), una certa ragionevolezza (dimostrata schierandosi da subito per un governo di larghe intese) e insieme un non essere accusabile di subalternità (provato dalle lotte della Cgil epifaniana). Insomma questa scelta dovrebbe e potrebbe servire per gestire una transizione. Che però dovrà essere rapida. Perché è difficile dimenticare quanto siano stati deludenti i leader sindacali - particolarmente nella Seconda repubblica - diventati capi di partito. Si consideri Bettino Craxi dopo il 1992 con Giorgio Benvenuto e Ottaviano Del Turco che non aiutarono in alcun modo a salvare il Psi. L'elezione di un grande ex sindacalista come Franco Marini a segretario del Partito popolare nel 1994 che portò quella forza a divenire nei fatti subalterna ai prodiani poi ai postcomunisti (anche se oggi Enrico Letta medica in parte questo passato). Si mediti su Armando Cossutta che per governare nell'ombra scelse come segretari di Rifondazione due leader di grido della Cgil, Sergio Garavini e Fausto Bertinotti: il primo fu un totale fallimento, il secondo liquidò definitivamente il partito. E non parliamo del povero Sergio D'Antoni e della sua Democrazia europea. Senza scordare lo scarso appeal di un Maurizio Landini, capo della Fiom, che sostiene Antonio Ingroia.
Il problema è che la politica, nonostante tutto, implica la trasmissione in qualche forma di una visione del futuro su cui organizzare il consenso degli elettori, e il mestiere del sindacalista invece è quello di trattare concretamente sui dati del puro presente. Così mentre un imprenditore riesce talvolta a pesare in politica perché la sua attività è anche pensare il futuro (inventarsi prodotti e mercati), i capi di pure grandi organizzazioni popolari come Cgil, Cisl, Uil hanno difficoltà a impiantarsi come guide di un partito: è più facile creare un rapporto con gli elettori per chi non ha esperienza, che trasformare secondo nuovi parametri antichi modi di collegamento con la società.
Nell'Italia post '45 solo il sindacalista Carlo Donat Cattin riuscì a diventare un vero e rilevante politico ma, nonostante la sua caratura, non fu mai presidente del Consiglio né segretario della Dc. Prima, sindacalista politicamente influente fu Filippo Corridoni, leader dell'estremistica Usi, poi liquidatore di Giovanni Giolitti nel 1915 con Benito Mussolini e anticipatore del fascismo: morto troppo presto però per giudicarne la qualità. Vi sono poi capi di governo ex sindacalisti in tutto il Nord Europa: le politiche di contrattazione generale tra Stato e organizzazioni dei lavoratori consentivano di passare da un'amministrazione indiretta a una diretta senza problemi. Peraltro tra questi unica personalità di rilievo è l'olandese Wim Kok che intervenne sulla rigidità del lavoro attuando riforme in altre nazioni fatte o via liberismo o da leader socialisti politici come Gerherd Schroeder o Tony Blair.

Altro sindacalista divenuto uomo di Stato è Luiz Inácio da Silva, detto Lula: ma questi ha avuto il coraggio e la capacità di modernizzare (e pacificare) in modo inedito il Brasile. Se vi fosse in Italia un sindacalista con questo tipo di visione avrebbe anche qui le sue chance. Forse non è questo il caso del tranquillo Epifani.

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