Quella politica provinciale "american spaghetti"

Dalla spending review al job act, quando la (finta) innovazione passa dal vocabolario

Roma - Ci risiamo. L'accusa di voler far l'americano gli è già piovuta addosso diverse volte, per le scelte in termini di iconografia politica (vedi convention in stile Charlotte obamiana) e per la costruzione della sua immagine personale (vedi giubbotto nero alla Fonzie). Questa volta, però, l'attrazione yankee si allunga sui contenuti, sul «provvedimento che non c'è» ma di cui tutti parlano, quel «Job Act» che sarà il primo, vero banco di prova per il Matteo Renzi politico.

Il piano sul lavoro del neo-segretario del Pd dovrebbe essere pronto per fine gennaio. In attesa della presentazione del biglietto da visita del riformismo renziano, un elemento è già entrato prepotentemente nel circuito mediatico: il titolo. «Job act», appunto, secondo una abitudine che si sta consolidando nella politica italiana: mostrarsi innovativi cambiando vocabolario ancor prima che contenuti, ricorrere alla lingua inglese per simulare l'azione immediata. Certo smettere di risciacquare i panni in Arno per immergerli nel Tamigi (o nel Potomac) è un paradosso per uno che fa il sindaco di Firenze. Ma tant'è, la sindrome dell'anglismo a ogni costo - che ricorda tanto Alberto Sordi in Un Americano a Roma (o a Firenze in questo caso) - resiste. Così in tempi di moral suasion, fiscal compact, spread, spending review, flexsecurity, impeachment, appeasement, welfare, family day, no tax area, devolution, question time, la terminologia inglese applicata al nostro politichese acquisisce un nuovo tormentone, quel «Job Act» che tradotto in «Documento per il lavoro» non sarebbe stato affatto cool (per dirla con Renzi). E poco importa che i contenuti non siano ancora definiti e dietro il vestito verbale ci sia quasi nulla (con un ribaltamento del nomina sunt conseguentia rerum). Perché il «Job Act», qualunque cosa esso sia, abbonda sui giornali e il messaggio è ormai passato.

Per Renzi, alla costante ricerca di un lessico emozionale e sempre attento allo «storytelling» (l'arte di raccontare storie utilizzando i principi della retorica e della narrativa al fine di entrare in empatia con il suo uditorio) il bersaglio è centrato. E perfino i Giovani Turchi, per confutarne le tesi (e non essere da meno nella deriva filo-anglofona), scendono sul suo terreno e scelgono la rivista «Left Wing». Ci si muove, insomma, sul filo dell'effetto annuncio, alla ricerca di partecipazione e consenso emotivo. Un po' quello che accadde nel settembre 2011 quando Obama annunciò un piano molto ambizioso (chiamato, appunto, «American Jobs Act») per creare milioni di nuovi posti di lavoro. Nel passaggio attraverso il Congresso di quel provvedimento rimase ben poco, ma il messaggio era passato.

Ora Renzi, con piglio pop in salsa americano-fiorentina, prova a muoversi sullo stesso terreno. Resta da vedere se il provvedimento produrrà un futuro radioso per i lavoratori italiani. Ma per capire se il sol dell'avvenire, anzi il «sun of the future», splenderà alto bisognerà attendere ancora un po' di tempo.

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