Renzi all'assalto delle super-poltrone

Democratici pronti a mettere le mani sui cento posti di comando nei grandi gruppi che fanno capo al Tesoro

Renzi all'assalto delle super-poltrone

C'è una scadenza di peso nel 2014. È il rito delle nomine delle società pubbliche. Il prossimo è uno di quegli anni in cui vanno rinnovate più di 100 poltrone. Ma con un fatto nuovo: Matteo Renzi. Dopo la politica, con il sindaco di Firenze in pressing da tre settimane sul governo, toccherà all'economia. In ballo ci sono i presidenti, ma soprattutto gli amministratori delegati. Posti occupati già da 9-12 anni da supermanager del calibro di Paolo Scaroni, Fulvio Conti o Massimo Sarmi. Con stipendi nell'ordine dei 2-4, fino a 6 milioni l'anno. Parliamo delle quotate Eni, Enel, Finmeccanica, Terna; delle controllate Saipem e Ansaldo Sts; di Poste Italiane. Un gruppo di aziende il cui fatturato vale il 18% del Pil con una capitalizzazione pari a un quarto dell'intera Piazza Affari. Per guidarle, tra cda, sindaci e supplenti, servono 101 nuovi amministratori (di cui almeno 20 donne, quando oggi ce ne sono solo sette): tante sono le poltrone in scadenza entro maggio. I vertici li sceglie il governo, attraverso il Ministero dell'Economia e Finanze (Mef) che controlla Enel, Finmeccanica (con Ansaldo Sts) e Poste. Mentre Eni (con Saipem) e Terna dipendono dalla Cassa Depositi e Prestiti (a sua volta controllata all'80% dal Mef).

Cosa ha in mente Renzi? Di vagliare caso per caso per poi decidere dove intervenire per mettere i suoi uomini. I quali, salvo qualche raro nome, sono al momento nell'ombra. Mentre nessuno di quelli in carica può vantare con Renzi amicizia o rapporti particolari. Il sindaco di Firenze potrà giocarsi, alla bisogna, alcune delle sue più riuscite argomentazioni: dalla rottamazione tout court al ricambio generazionale. Da combinare con altre due novità (introdotte da norme di legge): le quote rosa (almeno un quinto dei membri dovrà essere al femminile, che significa due posti nei cda normalmente composti da 9) e l'ineleggibilità per condanne dal primo grado o rinvii a giudizio.

Scaroni, 67 anni, guida l'Eni dal 2005 dopo un triennio al vertice di Enel. Si è detto pronto per il quarto mandato, ma certo la sua è la poltrona più ambita (e retribuita: 6,3 milioni nel 2012). L'ineleggibilità non lo riguarda, essendo stato estinto un patteggiamento del '96. L'unico rischio sono gli sviluppi dell'inchiesta per le tangenti Saipem, che lo vede indagato. Se Renzi chiedesse una svolta all'Eni, c'è chi dice che potrebbe chiamare il gran capo di Vodafone Vittorio Colao, 52 anni, manager di rara esperienza internazionale. Scaroni, già nel cda di Generali, potrebbe diventarne presidente al posto di Gabriele Galateri, al possibile rientro al vertice Telecom. Un valzer intricato.

Per una superpoltrona il nome che circola di più è però quello di Andrea Guerra, 48 anni, numero uno di Luxottica, renziano conclamato. Se non quelle dell'Eni, per Guerra potrebbero aprirsi le porte dell'Enel, dove anche Conti, 66 anni (retribuzione 2012 di 4 milioni) sarebbe al quarto mandato. Tutta da valutare la posizione di Sarmi, 65 anni, che essendo stato nominato ad nel 2002 sarebbe al quinto mandato. Per le Poste sempre più bancarie e informatiche da privatizzare c'è chi dice che Renzi avrebbe in mente un nome nuovo. Che però sia disponibile a uno stipendio che, nel 2012, è stato di «soli» 2,2 milioni. Mentre Sarmi potrebbe andare a presiedere Alitalia o Telecom. Per Flavio Cattaneo, ad di Terna, 50 anni, non esistono problemi generazionali, ma anche per lui si tratterebbe del quarto mandato. Potrebbe comunque restare nel giro delle grandi nomine: già in passato si era parlato dell'Enel. Diversa la storia di Alessandro Pansa, 51 anni, appena nominato al vertice di Finmeccanica dopo l'arresto di Giuseppe Orsi e considerato vicino al premier. Difficile immaginare un repentino cambio di ad.

Certo, prima del ciclone Renzi lo scenario più gettonato era la conferma di tutti gli attuali vertici, sulla scia di quanto accaduto in Ferrovie (coppia Cardia presidente e Moretti ad) o in Cassa (Bassanini e Gorno). La logica è quella, ben nota, del simul stabunt, simul cadent: un baricentro ormai decennale tra poteri e partiti che è meglio non toccare.

Eredità consolidata del tavolo dove a destra sedevano fin dalla fine del secolo scorso Gianni Letta e Giulio Tremonti, a sinistra Romano Prodi e Massimo D'Alema. Un equilibrio che al debole governo Letta (Enrico)-Alfano, in fin dei conti, non è così estraneo. Diverso sarebbe lo scenario in caso di elezioni l'anno prossimo: allora il rinnovo per altri tre anni di una classe dirigente confermata da un governo finito e per di più nominata da un ceto politico in estinzione non potrebbe essere automatico. E con lo sbarco di Renzi a Roma le cose sono diventate molto simili, anche senza elezioni: come potrebbe il neo segretario, dopo aver lanciato la sua Opa sul Pd, accettare uno status quo decennale senza dire la sua? Non è un caso quello che è successo a Siena, dove il sindaco renziano Valentini ha imposto a Mps un cambio in corsa delle strategie decise dal precedente gruppo dirigente del Pd.

Allo stesso modo circolano indiscrezioni su una certa insofferenza per la direzione generale della Rai nominata dai tecnici, per la quale Renzi vedrebbe bene l'ex La7 Antonio Campo Dall'Orto al posto di Luigi Gubitosi.

Allora, in vista delle supernomine del 2014, come può Renzi rischiare di non mettere la sua impronta su una partita così strategica per gli interessi che muove? Dall'Eni dipende la politica energetica del Paese e storicamente una bella fetta della stessa politica estera; la sua rilevanza confina con quella di Finmeccanica, operatore nel campo della difesa nazionale e nelle commesse all'estero; Enel e Terna accendono le case (e le bollette) degli italiani; mentre le Poste sono da un lato il nuovo azionista pubblico dell'Alitalia, dall'altro la prossima grande privatizzazione. Insomma, difficile che il neo segretario Pd rimanga solo a guardare.

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