«Rifondiamoci senza egoismi» Alfano semina pace nel partito

«Rifondiamoci senza egoismi» Alfano semina pace nel partito

RomaAl fin della fiera, giunse il momento del quid. Cambia davvero tutto, per Angelino Alfano, battistrada dei candidati alle primarie del Pdl. Mutamento d'orizzonte e di passo, di tattica e di schemi, per il segretario che ieri in Sicilia pareva coglierne l'intera portata, anche personale, allorché tornava sulla scelta di Berlusconi, «che ha cambiato il domani».
In questa consapevolezza profonda si nasconde l'idea che d'ora in poi si giocherà un'altra partita, nella quale non è tanto la ricerca di quel «qualcosa in più» che incombe, quanto il peso di una responsabilità grande e di insidie che lo sono ancora di più. Insidie che possono prendere corpo quando e da chi meno te lo aspetti. Retaggi di sfiducia, come trapela dalle parole di Dell'Utri («il passo indietro di Silvio non guarirà il Pdl») e cui Alfano non intende lasciar spazio: «Questo lo stabilirà il tempo futuro e siamo convinti che il tempo futuro ci darà ragione». Ma sono anche abbracci calorosi che rischiano di soffocare, come quello dell'ultrà democristiano Rotondi, che gli appiccica una similitudine non del tutto innocua: «Anche Alfano è un dc, un Forlani con l'iPad». Immagine che coglie senz'altro il segno della modernità di un segretario che vanta oltre 35mila seguaci su Twitter, ma che si trasforma in un peccaminoso ossimoro nel paragone con l'immobilismo doroteo dell'ex segretario dc, non per nulla diventato Coniglio mannaro nelle cronache di Giampaolo Pansa.
Ed è dall'apparente posizione di vantaggio che deve guardarsi Angelino, oggi interpretato come l'avversario da battere, l'uomo che più di ogni altro ha lavorato con pazienza certosina per tenere assieme le mille anime ispide del partito mai sbocciato. Rappresentare il centro «doroteo» al momento iniziale della contesa significa attirare come calamita l'appoggio incondizionato di un'intera nomenklatura, a ben guardare fatta anche di coloro pronti a «veder tutto cambiare perché nulla cambi». Diventare cioè il bersaglio di ogni innovatore, un capro espiatorio un po' bersaniano, a dispetto dell'età e del prestigio che si è guadagnato come primo quarantenne al potere e dunque quasi un Renzi ante litteram. Vero è che Alfano, investito dall'alto, mai ha messo in discussione l'indiscutibile leadership di Berlusconi (come avrebbe potuto?). Eppure ne esce fuori un segretario con tutto il quid in regola, quello che l'altra sera, la sera della decisione di Silvio, lo avrebbe pressato fino a porre l'aut aut: «Così non si può andare avanti, o procediamo insieme oppure io vado avanti da solo in direzione delle primarie».
Sta appunto in questo inaspettato moto d'orgoglio e responsabilità, che si fonde con quello mostrato nel voler restare fino in fondo sulla nave del Pdl, persino quando Berlusconi se n'è disamorato, la carta vincente di questo anti-Schettino che è Alfano. Pronto alla scommessa della primarie, che non dovranno essere come quelle del Pd, bensì «un bagno di democrazia e un momento di fair play, un confronto tra coloro che si riconoscono sotto la stessa bandiera».

E nella sua dichiarazione c'è tutto il mondo pacato e costruttivo del segretario, che si appella affinché sia «indispensabile mettere da parte egoismi e visioni di piccolo cabotaggio per rifondare il centrodestra e impedire la vittoria del centrosinistra». Imperativo categorico ripetuto con convinzione ancora ieri dalla sua Sicilia. Lì dove si combatte la prima delle sue battaglie, capace di aprirgli la strada di Roma o d'impantanarlo nella zavorra d'una sconfitta.

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