Riforma del Senato, il Pd rema contro e Renzi è nella palude

Il premier è pronto a trattare e ha accolto proposte di modifica. Ma i senatori mugugnano

Riforma del Senato, il Pd rema contro e Renzi è nella palude

Roma - Matteo Renzi resiste alle pressioni della «palude», e per questo ieri il vertice antelucano a Palazzo Chigi con il ministro Maria Elena Boschi e la presidente Anna Finocchiaro si è chiuso in modo ancora «interlocutorio» sul punto dolente della riforma del Senato, ossia l'elettività dei suoi membri.

È la bandiera issata da tutti coloro che, dentro e fuori il Pd, tentano di far rientrare dalla finestra quel che si vuol far uscire dalla porta, ossia il bicameralismo perfetto, e che vogliono, nelle parole del premier, «continuare a produrre ceto politico». Anche nella riunione di oggi con i senatori del proprio partito Renzi continuerà a ripetere che di elezione diretta dei nuovi senatori non se ne parla. Siano se mai i consiglieri regionali ad «indicare chi tra loro deve sedere a Palazzo Madama». Ma le pressioni per ottenere almeno una «elezione contestuale» resta alta, anche se gli stessi fautori ammettono che «tecnicamente è un gran pasticcio».

Sul resto il premier è pronto a trattare, e già ha accolto numerose proposte di modifica: la proporzionalità della rappresentanza regionale, in base agli abitanti, e la soppressione o ampia riduzione dei 21 membri di nomina presidenziale. Un'ipotesi su cui molti si sono stracciati le vesti e su cui lo stesso Napolitano ha arricciato il naso, ma che in realtà è stata infilata nel ddl del governo con l'unico scopo di farne oggetto di trattativa e poi di concessione agli oppositori. Insomma, i poveri 21 senatori non sono mai esistiti, tanto meno nella mente di Renzi, ma ora tutti coloro che si erano scandalizzati per la loro presenza celebreranno la propria vittoria nel vederli scomparire o quasi, e romperanno meno le scatole sul resto. Almeno si spera. Il premier si mostra ottimista: «Sulle riforme ci siamo, 80 euro ok, l'Irap va giù, pronti i soldi sulle scuole. Mercoledì Pubblica Amministrazione. Con un pensiero affettuoso agli amici gufi», twitta a sera.
Di certo la tensione nel Pd si è drasticamente abbassata, e anche la minoranza ha iniziato a realizzare che continuare a dare lo spettacolo di un partito che tenta di spolpare il suo premier serve solo a regalare voti a Grillo. «Le aperture di Renzi sono positive, sono arciconvinto che si troverà una soluzione - dice Pier Luigi Bersani - bisogna parlare con tutti ma tocca a tutto il Pd, costruire una soluzione». E il pasdaran del Senato elettivo, Vannino Chiti? «Chiti è una persona ragionevole», assicura l'ex segretario.

Intanto il premier deve rinunciare alla sua partecipazione ad Amici, prevista per ieri sera: in mattinata, Renzi ha fatto sapere che non sarebbe andato per «evitare polemiche sulla par condicio», che vieta presenze politiche nei programmi di intrattenimento. Rinuncia dolorosa per lui (Amici è un ottimo veicolo per il voto giovanile) e anche per la conduttrice De Filippi, visto l'effetto del premier sull'audience, confermato anche dagli ascolti record dell'Annunziata con l'intervista di domenica. Lo stop sarebbe arrivato da Mediaset, che secondo la Pd Silvia Fregolent «si adegua e sacrifica gli ascolti alle ragioni della campagna elettorale e al nervosismo crescente di Fi e M5S». Silvio Berlusconi, dal canto suo, nega di aver avuto a che fare con la decisione: «L'ho saputo stamattina da un giornale, io non ho rapporto frequenti con Mediaset.

Ho letto che sarebbe stata una violazione del regolamento Agcom - aggiunge - se mi avrebbe dato fastidio? Prendo atto che questa cosa non era possibile per le disposizioni vigenti». Stasera comunque Renzi si consolerà con Porta a porta.

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