La rivincita di Berlusconi

Fino a poco fa era accerchiato dai processi e zavorrato dalla cacciata da Palazzo Chigi Ora èil solo a proporre un nome di garanzia per il Quirinale e un governo responsabile

Mi ha fatto impressione quel Berlusconi pa­squale, nel senso del ri­sus pascalis , che al Quirinale pro­poneva di venerdì santo, nella massima serenità di spirito, un governo di unità nazionale, un «tutti per l’Italia» di ovvia decli­nazione per chiunque non sia rincitrullito, vista la situazione in cui versa la patria. Era fino a poco fa in una situazione para­dossale, accerchiato dai processi, zavorrato dalla cacciata dal governo, un odore tremendo di scon­fitta lo circonfondeva come un idolo ne­gativo, mentre il suo partito si squagliava e molti si squagliavano. Invece ha fatto il deserto dei superbi intorno a sé. Via Casi­ni, via Fini, via Monti, via i democristi strambi come Pisanu e Scajola, Bossi ci ha messo del suo, Maroni è stato piazzato dove non avrebbe mai pensato di arriva­re e collocato gentilmente come un bam­bolotto davanti al microfono fuori dello studio alla Vetrata, e il Cav è rimasto solo, solissimo, torreggiante, e sempre più fol­le, a proporre e disporre in bilico tra il Grande Imputato di tutti i mali e il Padre della patria convinto della necessità di fa­re di t­utto per avere un capo dello Stato re­sponsabile (la rielezione proibitiva ma immaginosa di Napolitano), un governo responsabile (un esecutivo politico, an­che con Bersani alla testa, basta che sia in grado di attuare un programma, e su quel­lo Berlusconi non crede che davvero si li­tigherà).
Con Bersani se ne va un altro di quelli con i quali Berlusconi ha incrociato le spade. Ma quanti sono? Ho perso il con­to, dal 1994 ad oggi, tra poco fanno vent’anni.Molti sono fuori del Parlamen­to, Bersani va fuori carriera di leader, il suo pragmatismo furbo e senza sogni del­la bassa piacentina si è infranto contro lo scoglio dell’immaginazione elettorale degli italiani, che gli hanno dato la solita non vittoria (era toccato anche a Prodi) e forse gli preparano la solita riscossa dei berluscones, mai così forti in tutti i son­daggi mentre ci si affaccia nel vuoto politi­co. Metà di questo presuntivo e imminen­te rinascimento del berlusconismo, im­pavida e formidabile sfida a tutto il già det­to e già saputo della politologia da tavoli­no, va alla sua virtù di condottiero. È vera­mente un tipo tosto, e la sua mitezza è co­razzata d’acciaio, di vo­litività senza confini. L’altra metà si deve alla balzana idea che si è ma­nifestata di bel nuovo nella preclusione a un governo di emergenza e unità nazionale espres­sa d­a Bersani e dalla sini­stra del suo partito, quei giovanotti ex dalemiani che i cronisti di Monteci­torio chiamano i «giova­ni turchi».
Il rigetto o ripudio di Berlusconi è inteso, giu­stamente,
come uno schiaffo in faccia a mez­za Italia. Un Paese che spesso è maggioranza, anche schiacciante in certe situazioni. E che parla una lingua sempli­ce, fatta di meriti e di bisogni diffusi, e an­che di furbizie e pigrizie tipiche del carat­tere nazionale, ma che appartiene a que­sto Paese, o se volete a questa stirpe. È la solita lotta tra la programmazione di Rai­tre e i pomeriggi di Canale5? Non lo so, non mi va di improvvisarmi semiologo. Ma è vero che lo scudo di Berlusconi, quel che permette al Cav di giocare la car­ta finale della sua sopravvivenza ogni vol­ta che la situazione incresciosa della Re­pubblica dei partiti lo mette in pericolo, è questo risentimento motivato di mezza Italia contro coloro che non vogliono ac­cettare l’esistenza di un destra italiana di popolo, magari rozza o semplificatrice, così come la storia l’ha prodotta dopo la crisi del Paese che si identificava nei parti­ti della Costituzione. Bersani paga il prez­zo di un ripudio assurdo, che si riassume nel senso sciagurato di superiorità che il suo schieramento espri­me, la chiara evidenza di una sinistra che non vuole normalizzare il suo rapporto con que­sta Italia, ma ne esige la condanna, la damnatio memoriae , e la vuole a ogni costo, anche con processi grotteschi e ac­cuse infamanti e indi­mostrabili.

Battere Ber­lusconi con mezzi nor­mali, e dunque in una lo­gica di confronto tipica delle democrazie libera­li, mutuando qualcosa di importante dalla sua esperienza, condonan­do la parte lapalissiana di inciviltà e accanimen­to giudiziario che lo ri­guarda, e procedere ol­tre, in una logica di pacificazione e di ri­conciliazione che tagli le ali dell’estremi­smo ideologico: è quel che il centrosini­stra non sa e non vuole fare, è quel che lo condanna a una subalternità senza spe­ranza, interminabile, stupefacente, e che alla fine siamo tutti noi a pagare co­me disfunzione e paralisi della democra­zia.

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