Rosi, l’ombra del capo che non piace ai lumbard

La lady di ferro dei padani, Rosi Mauro, ex operaia sindacalista, si è guadagnata la fiducia di Umberto Bossi. E' passata da oscura sindacalista del fantomatico SinPa, la Cgil dei leghisti, al Consiglio regionale della Lombardia fino alla vicepresidenza del Senato

Rosi, l’ombra del capo che non piace ai lumbard

Roma - Bodyguard al femminile del Senatùr, Rosi Mauro da San Pietro Vernotico (Brindisi), 50 anni, è la lady di ferro del Carroccio ormai da anni. Per la verità, i soprannomi che i leghisti le affibbiano sono altri e meno eleganti: la «badante» è il più gentile, figuriamoci gli altri, che insistono sulle origini non celtiche della senatrice, fedelissima della famiglia Bossi (su Google la ricerca più cliccata col suo nome è con l’aggettivo «terrona»). La fortuna della Rosi sta tutta lì, nella fiducia che le ha accordato il capo Umberto e poi la moglie del capo Manuela Marrone, sua amica. E così è passata da oscura sindacalista del fantomatico SinPa, la Cgil dei leghisti, alla vicepresidenza del Senato, che ogni tanto le tocca guidare provocando talvolta casini inenarrabili.

La sua formazione in effetti non è giuridica, ma pasionaria, nel senso che è grazie al carattere che impressionò Bossi, all’inizio degli anni Novanta. Esuberanza tradotta anche in una minigonna mozzafiato, che forse contribuì ad attirare l’attenzione del Senatùr, amante del gentil sesso. La chiamavano «la sindacalista in minigonna», e alle riunioni tutti si giravano a guardare quella sventolona mediterranea. A scoprirla fu il segretario milanese della Uilm, settore trasporti, che prese con sé la Mauro, allora operaia in una fabbrica siderurgica milanese, la Control. Fu in quel contesto che Bossi fu folgorato: «Ero andato a vedere un’assemblea di tranvieri e a un certo punto spunta ’sta ragazzetta che sale sul tavolo, urla e mette tutti a tacere». Ecco, l’urlare è un’abitudine che la Mauro non ha perso. A Pontida e a Venezia, nei due più grandi raduni della Lega, sale immancabilmente sul palco, verso la fine, e si sgola col suo grido di battaglia: «Né neri, né rossi, ma liberi con Bossi!». Molti la seguono, molti no, e la fischiano, gridandole cose irripetibili. Non è molto amata, la Rosi, dalla base padana. A Bossi però piace perché è una tosta. E lei è una grande adulatrice del capo. Nel primo discorso pubblico di Bossi dopo la malattia, a Lugano nel 2005, la Rosi si fece travolgere dall’euforia: «Lo vedete, abbiamo la prova che Bossi è immortale, che è un Highlander. E dopo Bossi, c’è ancora Bossi».

Il capo la usa come una specie di Terminator per commissariare le sezioni incasinate.

Così la Mauro è diventata «legata», cioè commissario, della Lega in Emilia-Romagna, e prima ancora in Liguria. Doveva diventarlo anche in Lombardia e Veneto, dove ci sono ribollimenti, ma poi è saltato. Lui la manda ovunque, dove serve il pugno di ferro. Un’altra parte della Lega la rimanderebbe a San Pietro Vernotico.

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