Nel ricorso in appello per il caso Ruby contro la sentenza con cui nel giugno scorso il tribunale ha condannato Berlusconi a 7 anni di carcere, gli avvocati del Cavaliere, Ghedini e Longo, scrivono che "non vi è alcuna prova agli atti che" la ragazza "sia stata destinataria di ingenti somme di denaro, salve quelle accertate nel processo con causale di mera liberalità a titolo di aiuto economico a un soggetto in difficoltà". E sottolineano che l'ex presidente del Consiglio abbia versato soldi alla giovane marocchina "non certo per comprare la teste, nemmeno con la ipotizzata ma non provata promessa di ricompensa per fare la pazza".
Secondo gli avvocati Ruby "non è stata una teste compiacente" come ritenuto dal tribunale "con una operazione di acrobatica argomentazione giuridica". Nei motivi d’appello i legali spiegano che "a parte negare il compimento di atti sessuali, la minore fornisce una descrizione delle serate assolutamente negativa e compromettente per l’imputato". Quindi, sottolineano gli avvocati, "o il racconto di Ruby è credibile, anche se spontaneamente mescola il vero e il falso, ma comunque nega qualsiasi atto sessuale, oppure non è possibile nemmeno lontanamente ipotizzare che vi sia stato un qualche intervento dell’imputato per ottenere una versione addomesticata perché, all’evidenza, mai avrebbe acconsentito che si narrassero vicende in molti punti molto pregiudizievoli, anche penalmente non solo per l’immagine di uomo pubblico. Basti ricordare la vicenda del tollerare il consumo di cocaina in casa sua".
Berlusconi, proseguono Longo e Ghedini, è stato vittima "del più clamoroso caso di intercettazione indiretta di un parlamentare, peraltro già presidente del Consiglio, mai avvenuto". E sottolineano come sia "assolutamente certo che tutte le captazioni di conversazioni o le acquisizioni dei tabulati sono state effettuate da parte della Procura di Milano al precipuo scopo di cercare di reperire prove e riscontri anche e innanzitutto a carico dell’onorevole Berlusconi e, solo marginalmente, a carico di Mora, Fede e Moretti, giudicati in separato giudizio".
Facendo riferimento ad uno scritto della stessa giovane marocchina, gli avvocati sottolineano come in quel documento "formato in epoca non sospetta", Ruby "negava recisamente qualsiasi rapporto sessuale" con l’ex premier.
L'attenzione dei legali si sofferma anche sul reato contestato al Cavaliere di concussione per costrizione: la ricostruzione del tribunale di Milano, osservano, "si dimostra del tutto sconnessa dalla realtà probatoria e non trova nessun riscontro nelle dichiarazioni rese a dibattimento dai funzionari di Polizia che non sono né dipendenti né commensali» dell’allora presidente del Consiglio. I legali sottolineano che durante l’ormai nota notte in questura, quando cioè nel maggio del 2010 la giovane marocchina venne trattenuta per via di un furto, è vero che il capo di gabinetto ricevette una telefonata da parte del presidente del Consiglio ma che con questa chiamata «non vi è nessuna richiesta di rilascio, non vi è nessuna richiesta di accelerare le procedure, non vi è nessuna richiesta di violare la legge nè di affidarla alla Minetti».
In sostanza, quella chiamata, ribadisce la difesa del leader di Forza Italia, venne fatta solo come "mera richiesta di informazioni da parte di Berlusconi e l’invio della Minetti per agevolare l’identificazione" della marocchina della quale l’ex premier non era a conoscenza della minore età.
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