Il cardinale Odilo Pedro Scherer è il papabile che meno ti aspetti. È un sant'uomo di 63 anni, età ritenuta «giusta» per il nuovo Pontefice, la cui storia parla di pragmatismo, ortodossia, profilo basso, prudenza. È un vescovo fedele, buon organizzatore (ha in mano la prossima Giornata mondiale della gioventù), capace di prendere decisioni importanti.
Tuttavia nel suo passato non ci sono gesti eclatanti, dichiarazioni forti, libri dirompenti, discorsi clamorosi. I mass-media l'hanno inserito subito tra i «front-runner» per il soglio di Pietro ma cucendogli addosso un abito che non gli rende giustizia fino in fondo. Cioè quello di candidato del «partito della Curia», figura emblema di un compromesso al ribasso tra i cardinali in conclave.
Che l'arcivescovo di San Paolo del Brasile non sia un trascinatore, un carismatico, è un dato di fatto. Non ha il carattere e la passione che ci si aspetterebbe da un latinoamericano, e neppure il piglio del condottiero che difende i popoli del Terzo mondo. Sarebbe il primo Papa proveniente dal Sud del pianeta, ma con un cognome tedesco e un aplomb da college inglese. Quella che appare come una singolare osmosi tra Occidente sviluppato e Paesi emergenti rischia di sembrare una candidatura costruita a tavolino.
Settimo di 13 fratelli, Scherer è nato il 21 settembre 1949 a Cerro Largo, nello stato brasiliano del Rio Grande do Sul, da una famiglia discendente da immigrati tedeschi originari della regione della Saar. È lontano parente di un altro cardinale, l'ex arcivescovo di Porto Alegre Alfredo Scherer. Entra presto in seminario a Curitiba, studia alla Pontificia università cattolica del Paranà e alla Gregoriana, insegna teologia e filosofia in numerosi seminari brasiliani. Nel 1994 viene chiamato a Roma come segretario della Congregazione per i vescovi, una delle più importanti, guidata dal cardinale Giovanni Battista Re che oggi è il suo sponsor più autorevole per il papato.
Nel 2001 ritorna in patria come vescovo ausiliare di San Paolo, la più grande diocesi del Brasile e la terza nel mondo, e nel 2007 subentra all'arcivescovo Claudio Hummes nella sede che prima di loro appartenne ai cardinali Lorscheider e Arns. Ma dall'altra parte dell'Atlantico Scherer conserva saldi legami che lo portano a diventare membro di diversi organismi di Curia: tra l'altro, è uno dei cinque cardinali che siedono nella Commissione di vigilanza sullo Ior ed è membro del Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede. Le vicende dell'Istituto per le opere di religione sono risuonate anche ieri mattina nell'ultima delle congregazioni.
«Dom» Odilo, come lo chiamano nella sua megalopoli, visita spesso le favelas di San Paolo. Vive in una nazione dove il 75 per cento della popolazione si dice cattolico, la fede è ancora radicata nonostante la fortissima espansione delle sette evangeliche e pentecostali, le vocazioni sono in crescita. Ha saputo valorizzare anche la teologia della liberazione che negli Anni 80 rappresentò un problema per la Chiesa con teologi, vescovi e anche qualche cardinale pesantemente criticati dalla Congregazione per la dottrina della fede, allora guidata da Joseph Ratzinger. Oggi Scherer dice che è tramontata la versione della Tdl che usava il marxismo come strumento di analisi, ma continua in sintonia con la Dottrina sociale della Chiesa.
Ha difeso la presenza del crocifisso negli spazi pubblici e si è battuto contro l'aborto terapeutico. Ha anche dimostrato capacità di imporsi quando (l'anno scorso) insediò come rettore della Pontificia università cattolica di San Paolo una donna, Anna Cintra, contro il voto espresso da professori, studenti e staff che insorsero invano. È però inciampato sul catechismo: su una rivista francescana ha scritto un articolo titolato «Quinto comandamento: non rubare». In realtà è «non uccidere».
Scherer è una persona semplice e alla mano. Se eleggessero Scherer, i cardinali premierebbero l'ortodossia della dottrina, la provenienza da un Paese in via di sviluppo (e in particolare dalla più grande nazione cattolica del mondo), il pragmatismo, il buon inserimento in Curia e la conoscenza di dossier-chiave. In più parla un ottimo italiano. È il candidato che garantirebbe una riforma graduale della Curia, grazie all'esperienza maturata all'interno e agli ottimi rapporti. Ma contro di lui giocano vari elementi, primo tra tutti la mancanza di carisma: in Vaticano gira la battuta che Scherer non sarebbe il primo Papa brasiliano della storia ma il secondo tedesco consecutivo.
Non gode di
grandi appoggi nemmeno tra i vescovi del suo Paese, che gli hanno preferito come loro presidente l'arcivescovo di Aparecida, il cardinale Raymundo Damasceno Assis. Non sempre tenere un basso profilo è una carta a favore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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