Se le donne sono sempre più colpevoli

Donne discriminate anche come killer

Manipoli di maschilisti, tetragoni nel loro pensiero, malgrado l'obiettivo traguardo ormai raggiunto della pari dignità giuridica e sociale di maschi e femmine, continuano a stagnare impavidi nelle redazioni dei giornali e delle emittenti radiotelevisive. E così scrivono titoli e declamano a gran voce «condanna più pesante per Amanda». Dimenticando, nella cecità della misoginia, che Amanda è stata condannata anche per calunnia e che, dunque, quei tre anni in più non le sono stati inferti in quanto donna, ma perché bugiarda. Del resto, fin dall'origine del caso, gli organi d'informazione hanno sempre amato definire lei come «l'americana», che aveva circuito il ragazzotto italiano e dunque aveva anche organizzato la scena del crimine, servendosi di lui per il lavoro sporco: da qui la condanna, sottolineata come «più pesante», che rappresenta appunto l'occasione per discriminare ancora la donna, e non solo con il maschio (condanna «più pesante» di lui), ma persino con il «complice» nero, cui è stata comminata una sanzione più leggera. Basta un titolo per ripescare e riproporre una mentalità retriva, oltre che ignorante. Un modo di pensare che continua a invaderci e che ha definito e ammorbato il percorso critico intorno a molti delitti, soprattutto passionali, degli ultimi anni. I poeti maschilisti della cronaca avevano subito soprannominato la bellissima Katharina Miroslava l'«Angelo Nero»: il suo amante era stato ucciso dal marito, ma si voleva a tutti i costi credere che l'ispiratrice del delitto fosse lei. Che pure ancora oggi si dichiara innocente, malgrado abbia scontato la pena per «concorso morale» nell'omicidio. Per non dimenticare il gusto eccessivo con il quale si è sempre comunicato della «mantide» di Cairo Montenotte, della «saponificatrice» di Correggio, della Circe della Versilia; e persino dei due ragazzini Erika e Omar, si è sempre voluto dire che la mente fosse lei e lui l'indispensabile braccio armato. Per non parlare del ruolo di manovalanza dell'ineffabile zio Michele, succubo delle presenze assassine di casa sua. Se riflettiamo che gli assassinii femminili costituiscono solo il 10/15% del totale, non possiamo non intravvedere proprio nella volontà discriminatoria di alcuni (forse anche troppi) questa capacità di avvalorarli e accreditarli come più appassionanti, sconvolgenti, interessanti. Meritevoli, comunque sia, tutti, di una pena più pesante per le protagoniste, che entrano nell'immaginario sociale con il peso provocatorio e suggestivo di un soprannome, quasi per diventare indimenticabili.

Oppure dobbiamo credere che non vi sia discriminazione e che questi manipoli di uomini, raccontatori di cronaca, lungi dall'essere maschilisti, abbiano surrettiziamente trovato il modo di sottolineare la categorica superiorità del pensiero femminile in ogni situazione e in ogni scienza e, persino, nell'allestire, dirigere, e lasciare fotografata, per sempre, la scena del crimine?

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