Sofia e la commedia del fisco Vince la causa dopo 40 anni

Sofia e la commedia del fisco Vince la causa dopo 40 anni

È un vero peccato che Carlo Ponti non ci sia più: con il suo fiuto e i suoi soldi da scafato cineproduttore, mai si sarebbe perso una sceneggiatura tanto eccitante. Non c'è creativo di quelli attuali, che ci infestano tutte le sere con le loro inverosimili trame da fiction, che riuscirebbe mai a stendere un lavoro così completo, così realistico, così intricato del genere ormai definibile come Grottesco Italiano. Se lo sarebbe pure trovato in casa, senza pagare nessuno, semplicemente mettendo ordine alla montagna di carta del suo contenzioso fiscale. Di più: si sarebbe trovata in casa, dall'altra parte del letto, persino la diva protagonista dell'impareggiabile affresco, la sua signora, la signora del cinema italiano, Sofia Loren.
La sceneggiatura si apre con un colpo di scena memorabile, per strappare subito alla platea le prime grida di sorpresa. È il 1982, 19 maggio: la protagonista sbarca a Fiumicino, proveniente dalla Svizzera, dove vive da anni (alle volte, le coincidenze: la grande signora del nostro cinema, come la grande signora della nostra canzone, Mina, sono stabilmente signore svizzere). Non appena la Loren mette piede sul suolo avito, in un clamore picaresco di flash e di popolo, viene subito trasferita al carcere di Caserta, dove resterà diciassette giorni. Per il fisco ha truffato l'Italia, evitando di presentare la dichiarazione dei redditi in anni lontani, '63 e '64. Quella volta, le colpe finiscono però addebitate al commercialista, sicché sembra che la triste storia di Sofia Loren in guerra con il fisco italiano sia tutto sommato un banale cortometraggio.
Eppure non è così. In realtà è il prologo di un kolossal interminabile, che soltanto grazie ai tempi e ai modi della fulminea giustizia italiana riesce a durare la bellezza di quarant'anni e più. E chi saranno mai quelli di Beautiful, con gli attori delle prime puntate ormai ridotti a babbioni: li imparino nei nostri tribunali, i format sublimi delle serie infinite.
È nel 1982 che la trama diventa veramente italiana. Entra in scena il condono, un brand del nostro sistema che neppure i cinesi riuscirebbero mai ad imitare. La giunonica Sofia, assieme al marito Ponti, decide di servirsene per sanare l'annata 1974, completamente priva di dichiarazione, in quanto «si escludevano proventi, dal momento che per i film ai quali stava lavorando erano previsti compensi negli anni successivi». Il fisco non si beve questa versione, tanto che già nell'80 avvia gli accertamenti. Per evitare altre grane, come tanti connazionali (italiani, non svizzeri), la diva decide così di sfruttare il condono dell'82. Fine della guerra? Ma neanche per sogno. La legge, da noi, potrebbe tenere in piedi un milione di puntate, senza pericolo di annoiare. In sostanza, la Loren sostiene di dover pagare il sessanta per cento della somma dovuta (somma di 920 milioni in lire), mentre il fisco sostiene che debba pagare il settanta. Capita spesso che i più grandi capolavori nascano da stupidi dettagli: è proprio su questo dieci per cento di differenza che il polpettone diventa un'opera d'arte memorabile, parabola perfetta del vivere italiano a cavallo di due secoli, della serie com'eravamo, e come purtroppo continuiamo imperterriti ad essere.
Da quella puntata dell'82 servono trentuno anni, un tempo indefinibile, per stabilire se Sofia Loren debba condonare il sessanta o il settanta per cento del dovuto (la differenza è di 92 milioni vecchi, circa 45mila euro d'oggi). Ricorsi, controricorsi, avvocati, carte bollate. Nel 2006, la Commissione tributaria centrale di Roma si pronuncia categoricamente: ha ragione il fisco, l'attrice deve il settanta per cento. Finita, stavolta? Ma nemmeno per sogno. La diva irriducibile tiene botta e riparte in contropiede, arrivando fino al santuario finale di tutti i pellegrinaggi giuridici d'Italia, quella Cassazione cui arriviamo dopo lunga e sanguinosa marcia, al confronto Santiago di Compostela una sgambata.
Epilogo: cinquant'anni esatti dopo la prima dichiarazione dei redditi battagliata ('63), quarant'anni (quasi) dopo quella del'74, trent'anni dopo il condono ('82), la protagonista del kolossal vince.

Ha evaso, su questo non ci piove, eppure ne esce a braccia alzate: la Cassazione, visti gli atti, considerati i comma, stabilisce che per il buco del 1974 Sofia debba solo il sessanta per cento. Data l'interminabile assurdità, sembra una commedia all'italiana. Ma è vera storia d'Italia. Della sua giustizia. E purtroppo ancora non si intravedono i titoli di coda.

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