Sul Monte derivati e mazzette: ecco la "banda del 5 per cento"

Un testimone già nel 2010 aveva svelato ai pm il sistema dei manager di Mps. Il procuratore di Siena prepara al peggio: "Indagine esplosiva e incandescente"

Monte dei Paschi di Siena
Monte dei Paschi di Siena

Milano - Risale a quasi tre anni fa la prima traccia delle imprese del gruppo di allegri compagni che aveva occupato le postazioni chiave del Monte dei Paschi di Siena. Una traccia che sta in un vecchio rapporto della Guardia di finanza, protocollato con la data del 12 maggio 2010 e inviato alla Procura di Milano. Vi si racconta per filo e per segno la storia di come una filiale estera del Monte dei Paschi fece da tramite per un'operazione apparentemente senza senso. Una banca tedesca, la Dresdner Bank, emette dei derivati, il Montepaschi li compra e poi li rivende alla stessa Dresdner, dopo averli - come dire - ripuliti dai rischi. Una stecca da 600mila euro prende la strada di una fiduciaria svizzera, la Lutifin Services. Un testimone dice che a incassare la stecca sono stati due dirigenti della banca senese.
Sembrerebbe una piccola storia ignobile di infedeltà aziendale se non fosse che tutti, proprio tutti, i personaggi che compaiono nel rapporto sono i medesimi che tirano le fila dell'operazione Alexandria, quella da cui ora è scaturita l'inchiesta che ha trascinato nella bufera il Monte. La banca che fa l'affare e che paga la stecca è la Dresdner, la stessa di Alexandria. La filiale estera del Monte su cui passa l'operazione è quella di Londra, la stessa dove transiterà una parte della gigantesca stecca che accompagna l'acquisizione a prezzi folli di Antonveneta. E tra i nomi di Mps che compaiono nel rapporto il più alto in grado è quello di Gianluca Baldassarre, che come direttore finanziario inventa l'operazione Alexandria. Di lui, e del suo vice Matteo Pontone, nel rapporto del 2010 delle Fiamme gialle, un testimone dice pari pari: «Il 12 o 13 marzo 2008 sono andato a cena con Cortese (Michele Cortese, anche lui di Dresdner, ndr) il quale sostanzialmente mi ha detto che, a suo avviso, ma il fatto sembrava notorio, Pontone e Baldassarre avevano percepito nell'operazione una commissione indebita dell'operazione per il tramite di Lutifin. Mi disse anche che i due erano conosciuti come la banda del 5% perché su ogni operazione prendevano tale percentuale».
La «banda del 5 per cento» fa irruzione sulla scena del caso Montepaschi in un giorno in cui a parlare di uno scenario devastante non sono più solo le intuizioni giornalistiche: il procuratore della Repubblica di Siena, Tito Salerno, dice ai cronisti: «Non posso dirvi nulla, la situazione è esplosiva e incandescente, stiamo parlano del terzo gruppo bancario italiano». Non rendendosi conto (o rendendosene fin troppo bene) che quei due aggettivi, «esplosiva e incandescente» sono la migliore conferma di quanto scritto in questi giorni sulla gravità dello scandalo.
Dello scandalo - che ha nei fronti Alexandria e Antonveneta i suoi versanti di indagine principali - il rapporto del 2010 della Finanza sembra illuminare poco più che un dettaglio. Ma è un dettaglio cruciale, perché conferma che tra Dresdner e Mps correva una sorta di diplomazia parallela fatta di operazioni inconfessabili e creste gigantesche: tanto che nel racconto dell'unico testimone, l'ex funzionario di Dresdner Antonio Rizzo, ad autorizzare il pagamento della tangente è direttamente Stefan Guetter, responsabile mondiale dei prodotti finanziaria della banca tedesca. Ieri pomeriggio, dopo che uno scoop dell'Agi rende noto il testo del rapporto, Gianluca Baldassarri manda la sua replica al sito Dagospia: «Ovviamente non serve a nulla dire che di Lutifin io non sapevo neppure l'esistenza fino a quel momento. Mi hanno archiviato su richiesta dei pubblici ministeri e non potevano fare altro perché tutto si basava su una calunnia».
Ed in effetti è così: nel 2010 l'indagine su quel rapporto della Finanza non decolla, e le accuse a Baldassarre e al suo vice vengono archiviate. Ma, responsabilità dei singoli a parte, lo scenario descritto in quel rapporto è impressionante perché racconta con tre anni di anticipo la vita interna di una banca dove ormai le operazioni «coperte» sono la norma, e dove più degli interessi dell'istituto e dei suoi azionisti conta la necessità di confezionare fondi neri e tesoretti vari.

Negli 11 mesi successivi partono 8 bonifici per 17 miliardi: da Siena verso Londra, Amsterdam e Madrid. Per i pm oltre 2 miliardi rientrano in Italia con lo scudo fiscale: è la mazzetta

Nel 2008 Mps inizia a emettere derivati (Santorini, Alexandria) per abbellire i bilanci dopo Antonveneta.

Ma con la crisi dei mutui quei titoli diventano tossici. Il bubbone esplode oggi


Monte dei Paschi acquista Antonveneta nel 2007 per 10,3 miliardi, prezzo considerato più alto (di almeno due miliardi) del valore del gruppo padovano, con debiti per 7,9 miliardi

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