Da tecnico a politico, la dura vita del Prof

Da tecnico a politico, la dura vita del Prof

RomaSe finora l'impressione era quella del treno ad alta velocità, tutti semafori verdi in linea, adesso la locomotiva Monti comincia a decelerare per l'ingresso in stazione. Fine corsa e ripartenza su nuovi binari. Il suo memorandum, la difesa del suo lavoro, la lista che a lui si richiamerà. Con il premier, l'area moderata supera il 25 per cento, dice l'ultimo sondaggio del TgLa7. E in uno scontro diretto Monti-Bersani il primo vincerebbe 37 per cento a 32.
Il premier affida messaggi agli studenti per il Gr1 Ragazzi che sembrano già da agit-prop: «Abbiamo messo il Paese in sicurezza, il 2013 sia l'anno della ripresa, occorre fare di più, investire anche in capitale umano. Non possiamo permetterci la disillusione, bisogna reagire, servono persone preparate». Cambia però anche l'accoglienza, e qualche luce si fa gialla, segnale di pericolo. Prova ne siano piccoli dettagli, tipo la scenetta al salone delle Feste del Quirinale, al termine della cerimonia degli auguri tra le alte cariche dello Stato. Napolitano s'intrattiene con alcuni ospiti, ormai sul punto di ritirarsi. Monti lo avvicina dal fianco. Ma trascorrono 3-4 interminabili minuti di attesa, con Re Giorgio che ostinatamente continua a stare di tre quarti, prima che finalmente si volti e lo saluti. Gelida stretta di mano, due striminzite frasi di circostanza e amen. Congedato.
Finora aveva vinto facile, il Prof, ma il gioco si fa duro e Napolitano non nasconde il risentimento per l'emancipazione del «protetto». Un quasi tradimento. Non tanto meglio era andata con colui che, almeno in fase elettorale, è l'avversario da battere, Bersani. L'incontro a Palazzo Chigi era stato concordato venerdì scorso ed è terminato dopo mezzora con un capo del Pd dal buonumore forzato, quasi acido: «Incontro cordialissimo. Il premier è ancora in fase di valutazione. Gli ho detto di fare ciò che ritiene opportuno... Ma il professore sta riflettendo, continua a riflettere. Sceglierà lui quello che vorrà dire, a noi va bene qualsiasi cosa...».
Bersani era stato ricevuto con le migliori intenzioni, garbo all'antica. Però il premier s'è trovato davanti un uomo della Bassa che, è vero, non sarà proprio Peppone, ma comunque ha la pellaccia consumata alla scuola del Pci. Al montiano traccheggio, Bersani ha opposto un bel tocco di concretezza padana. Considerazioni di carattere politico e istituzionale. Per esempio, la contraddizione di una campagna elettorale in antitesi, che poi potrebbe sfociare in collaborazione di governo. Oppure lo spinoso rebus delle dimissioni: su che basi Monti le rassegnerà nel fine settimana? Non dovrebbe avere un voto di sfiducia? L'uomo d'inizio Terza Repubblica pensa per caso di poter tornare alla prassi delle crisi extraparlamentari, flagello della Prima? Posto dai giuristi, il dubbio è stato rilanciato dalla dalemiana Velina Rossa. Non è particolare da poco, visto che la legge di Stabilità è in ritardo.

Se slitterà l'approvazione, quando e secondo quale iter il premier si dimette? È poi sicuro che il Colle conceda a Monti il vantaggio di gestire le elezioni? Non fu proprio la Dc, nell'87, a pretendere un governo Fanfani per non consentirlo a Craxi? Anche per il Prof pare tramontare l'era dell'aiutino da casa.

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