“L’entusiasmo iniziale è rapidamente scemato”. La nefasta sentenza, per Elly Schlein, arriva da Paolo Natale, politologo dell’Università di Milano e consulente di Ipsos. Nel giro di sei mesi, infatti, da marzo a oggi, la fiducia nei confronti della neosegretaria Pd è calata dal 39 al 24%. I consensi per il centrodestra, invece, passano dal 44 al 47%, mentre l’alleanza di centrosinistra formata da Pd, +Europa e Avs scende di due punti percentuali e si ferma al 24%.
“L’alleanza di tutta l’opposizione sulla carta sarebbe competitiva, se sommiamo tutti i voti potenziali dei vari partiti che sono fuori dalla maggioranza arriva al 48%”, spiega Natale che subito mette in evidenza le difficoltà nel costruire un “campo largo” che riunisca tutte le opposizioni: “Significherebbe mettere assieme il Pd con i cespugli di sinistra, e questo è facile, ma anche con il M5s e poi con Azione e Italia viva...operazione ad oggi politicamente impraticabile. Sono – spiega Natale - tutti competitors piuttosto che potenziali alleati”. Ma non solo. Tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein “non c’è partita”. Il gradimento del premier dal 40% iniziale è salito fino al 49%, mentre quello della leader del Pd è calato di 15 punti. “Il suo arrivo aveva suscitato parecchie speranze, era la svolta che molti aspettavano dopo 11 anni in cui il partito era stato un partito di gestione del potere e non di lotta politica”, dice Natale che spiega così il flop: “Schlein invece, a parte i diritti civili, non pare capace di declinare un progetto politico convincente, dall’ambiente alla globalizzazione all’economia, e di essere incisiva dal punto di vista anche comunicativo sui temi oggetto del confronto politico”. La nuova segretaria del Pd sembra vittima “dell’incapacità di una progettualità forte” che ha colpito anche i suoi predecessori e sbaglia “a rivolgersi sempre allo stesso elettorato, che per ora regge ma, come dimostrano i voti nelle zone rosse, non è eterno”. Insomma, secondo Natale, la Schlein non riesce a intercettare i voti dei delusi e ad attingere al 40% di astensionisti. Il Pd ha perso la vocazione maggioritaria e “a differenza dei socialisti spagnoli capaci di aggregare intorno a sé i piccoli partiti, il Pd non riesce ad essere un centro attrattivo”.
Giuseppe Conte, invece, è stabile al 15-16% perché “è l’unico che – osserva Natale - riesce a prendere voti anche tra i perdenti della globalizzazione che però sono ideologicamente più vicini al centrodestra che non alla sinistra classica”.
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