Tragedia senza fine. Dispersi in mare altri settanta migranti

Sul peschereccio della morte in molti sono rimasti uccisi dall'asfissia e dai compagni. In una ghiacciaia di tre metri per tre stipata una quarantina di persone

Tragedia senza fine. Dispersi in mare altri settanta migranti

È una moria continua. Le testimonianze strazianti degli immigrati giunti a Catania, diffuse dall'Unchr, l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, parlano di una settantina di immigrati dispersi nel naufragio di un gommone nei giorni scorsi nel Canale di Sicilia. La Procura di Catania ha aperto un'inchiesta. L'ennesima tragedia del mare sarebbe stata causata dalle pessime condizioni del gommone con a bordo 101 persone.

Il pensiero corre dritto ai 611 immigrati stipati nel peschereccio di 20 metri rimorchiato martedì al porto di Pozzallo, tomba di 45 persone. Ammonticchiate nella ghiacciaia di 3 metri per 3, si supponeva che fossero una trentina. E mentre la polizia giudiziaria sperava di averci visto male – «magari ce n'è qualcuno in meno» – i corpi recuperati con immane difficoltà soltanto alle 5.30 di ieri, dopo un'operazione che ha richiesto l'intervento dei pompieri per allargare la stretta botola che portava alla stanzetta, erano quindici di più. Stretti stretti, l'uno sull'altro. In stato di decomposizione per il tempo trascorso e il gran caldo. Tutti giovani, con pantaloncini colorati, a dorso nudo e il volto verso la botola. Si sono spogliati per sopravvivere. «Sono tutti uomini, verosimilmente maggiori d'età, provenienti dal centro Africa» dicono medici e investigatori.

In quello spazio tanto angusto hanno viaggiato almeno settanta persone. È l'orrore che si aggiunge all'orrore. Lo hanno riferito gli immigrati che sono riusciti a uscire da quell'inferno di monossido di carbonio, sudore e fiati, facendosi largo a forza tra i compagni. «Per il caldo, la fame e la sete provavano a salire ma venivano respinti, spesso dagli stessi compagni di viaggio che, per fare posto a loro, avrebbero rischiato di cadere in acqua» dice il dirigente della Squadra mobile di Ragusa, Antonino Ciavola. Il viaggio duranto 36 ore, durante le quali non hanno mai ricevuto cibo o acqua, è terminato per i superstiti rinverdendo quel sogno di salvezza in una terra che appare un miraggio. È bastato uno sguardo al pontile di Pozzallo per rimuovere per un istante l'immagine e il puzzo della morte, attratti dallo sventolare della bandiera della rivoluzione siriana in mano all'attivista marocchina Nawal Sofi, la prima a dare l'allarme da Catania, avendo ricevuto una telefonata di sos dal barcone. Hanno sorriso e fatto il segno della vittoria. I medici legali hanno iniziato l'esame esterno dei corpi. «É una ricognizione accurata - dice il procuratore di Ragusa, Carmelo Petralia - Procederemo con i riconoscimenti da parte dei parenti. I volti senza un nome finiranno in un database con dna». La procura disporrà l'autopsia su un campione rappresentativo dei deceduti, che si trovano nella cella frigo fornita dalla Protezione civile provinciale di Ragusa, cui si è dovuto annettere un furgone con cella frigo per fare posto per tutti. Sono in un'area off limits vicino al Cpsa, per evitare che qualche parente vi si rechi. Dopo 30 ore di lavoro i due scafisti sono stati individuati. Un senegalese di 30 anni, Oussman Maron, e il 22enne del Gambia Ibrahima Conte, accusati, oltre che di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, anche di morte come conseguenza di altro reato e sequestro di persona.

Nel frattempo è tornato in libertà il 23enne marocchino Hamid Bouchab uno dei due scafisti del barcone che il 12 maggio naufragò provocando la morte di 17 persone.

Lo ha deciso il Gip di Catania che, in accoglimento della richiesta del difensore, ha revocato la misura restrittiva ai domiciliari e l'obbligo del braccialetto elettronico. Avrebbe comunque avuto un ruolo marginale. Resta invece in carcere il 23enne tunisino Haj Hammouda Radouan, capitano del barcone.

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