L'ultima predica prima del conclave, l'ultimo contatto con la gente prima di eleggere il nuovo Papa. Giorno di tregua per i cardinali che al mattino celebrano la messa nelle chiese romane di cui sono titolari prima di ritirarsi e mettere a punto le scelte del conclave in altri incontri riservati. Le messe sono l'occasione per incontrare i fedeli e fare conoscere ciò che gli sta più a cuore per il futuro della Chiesa. Caccia al papabile in una Roma con poche auto e affollata di giornalisti da tutto il mondo che saltano da una basilica all'altra. «Eminenza, in tanti anni non ho mai visto tanta gente: è un buon segno», esclama il parroco di Santa Maria della Vittoria al cardinale Sean Patrick O'Malley.
I tre papabili più accreditati non sono lontani tra loro. Angelo Scola celebra ai Santi Apostoli, tra via del Corso e piazza Venezia. Il brasiliano Odilo Scherer è poche centinaia di metri più su, nel gioiellino del Bernini che è Sant'Andrea al Quirinale. Un altro tratto di strada ed ecco la Santa Maria della Vittoria di O'Malley. Tre papabili, tre stili diversi anche se tutti «ratzingeriani».
Scola, candidato «forte», sceglie un orario poco romano, le 9. La chiesa è riempita per metà da pellegrini brianzoli da Giussano. L'arcivescovo ambrosiano chiude austero la processione con una dozzina di concelebranti: un rapido «Buon lavoro» a un paio di giornalisti e un saluto all'ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Francesco Greco, prima di chiudersi in sagrestia. Soltanto al termine della messa Scola parla del conclave: «Invochiamo lo Spirito di Gesù risorto perché infonda i suoi sette doni ai cardinali» per eleggere «un pastore santo, un Papa che testimoni Gesù e che edifichi la sua Chiesa con la testimonianza della sua vita». L'omelia è tutta dedicata alle letture della domenica, in particolare al Vangelo del figliol prodigo. Scola invita a immedesimarsi nel padre che, nella sofferenza, non sgrida il figlio ma lo abbraccia: «Dio non teme le nostre debolezze di miserabili peccatori, accetta il rischio della nostra libertà e noi possiamo ricominciare ogni giorno». In controluce vi si legge il travaglio della Chiesa fiduciosa, sulla scia di Benedetto XVI, che sarà Dio a portare avanti la sua opera.
Suonano le chitarre con Scherer in una basilica raccolta che facilita il contatto con i fedeli. Il porporato brasiliano, assediato dai connazionali, parla un ottimo italiano dopo anni passati nella Curia vaticana e invita i giornalisti a mostrare al mondo «le belle chiese di Roma». Scherer sottolinea il comportamento del fratello del figliol prodigo, che non gioisce per il ritorno e rompe l'unità familiare. Del conclave dice: «È un tempo di speranza e rinnovamento della fede, un tempo difficile ma gioioso. Siamo fiduciosi che Dio non abbandona la sua Chiesa».
Alla stessa ora, le 10,30, celebra O'Malley che giunge sorridente e rilassato con la talare rosso porpora d'ordinanza, non con il saio da cappuccino. «Tornerò a Boston da cardinale e forse porto
con me la statua di Santa Teresa - ironizza indicando la famosa Estasi del Bernini alla sua destra -. Ci avevo pensato quando presi possesso di questa bellissima basilica, ma mi hanno detto che ci aveva già provato Napoleone». Omelia tra incenso e sonate d'organo in un italiano incerto: «La Chiesa deve aprirsi a chi si è smarrito. L'esperienza negativa dà valore al ritorno maturato nella sofferenza. Ogni uomo è un cercatore di Dio».
Il conclave? «Preghiamo perché il nuovo Papa ci confermi nella fede e renda più visibile Dio che riprende la pecora perduta».Se Scola sottolinea il peccato e la misericordia, e Scherer l'importanza dell'unità, il tema di O'Malley è il recupero di chi si è allontanato dalla fede, questione molto sentita in tutto l'Occidente cristiano.
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