Da quando Benedetto XVI ha lasciato il Soglio di Pietro, i romani hanno iniziare a fare i conti con il traffico del mercoledì mattina, in concomitanza con le udienze da tutto esaurito di Papa Francesco. Ma la pop star del momento in Vaticano non attira solo i fedeli comuni. In questo primo scorcio di pontificato, i leader mondiali hanno fatto a gara per incontrare Francesco a Santa Marta, per regalarsi una foto con il Papa argentino che predica povertà e giustizia sociale, che detesta la pompa degli ermellini e tutto ciò che rimanda alle anticaglie da museo. I romani assistono alla processione di capi di Stato in Vaticano, strette di mano, colloqui storici, ed è come se la sede dell'Onu si fosse temporaneamente spostata a Via della Conciliazione.
Perché non c'è questione internazionale su cui Bergoglio non voglia intervenire, e non c'è protagonista della scena internazionale che non penda dalle sue labbra. Per esempio, prima di partire per il viaggio in Terra Santa, Francesco aveva spiegato che il suo sarebbe stato un viaggio religioso: niente politica, nessun tentativo di mediazione tra le parti da decenni in conflitto, troppo forte il rischio di essere frainteso, di scontentare qualcuno. Eppure l'incontro in programma domani pomeriggio in Vaticano con Shimon Peres e Abu Mazen, tra le aiuole e i prati dei Giardini in fiore e poi nella hall di Santa Marta, dimostra che la diplomazia della Santa Sede è tornata a funzionare a pieno regime dopo gli anni controversi della gestione del cardinale Tarcisio Bertone, esperto di diritto canonico e non di affari internazionali.
Il primo era stato il presidente russo Vladimir Putin, lo scorso autunno, al quale il Pontefice aveva precedentemente inviato una lunga lettera accompagnata da benedizione finale chiedendogli di attuare ogni sforzo possibile per evitare un conflitto in Siria. A seguire, uno dopo l'altro, François Hollande e Barack Obama, alla ricerca di una photo opportunity con il Papa per risollevare in patria il gradimento da tempo in declino. Ieri poi l'udienza privata con il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, che non ha mai nascosto la sua fede scintoista e che, anzi, provocò un incidente diplomatico andando a pregare le anime dei caduti di guerra giapponesi nel controverso santuario Yasukuni di Tokyo. I cattolici in Giappone sono lo 0,4 per cento della popolazione, ma i giapponesi hanno «un rapporto storico importante con i gesuiti», fanno sapere fonti governative, ed è per questo che Papa Francesco è nei loro cuori. I temi dell'incontro con Abe sono stati la pace in Asia, il disarmo nucleare e la tutela ambientale. E chissà se Bergoglio, nel suo prossimo viaggio pastorale in Corea del sud previsto in agosto, riuscirà a trasformarsi di nuovo da pellegrino del Vangelo a globetrotter dell'Onu, compiendo una missione che sembra davvero impossibile: mettere piede in territorio nordcoreano e riaprire il dialogo tra le due Coree.
A ben guardare, l'esordio da diplomatico di Bergoglio risale allo scorso settembre, quando in pochi giorni mobilitò la Chiesa cattolica per evitare lo strike su Damasco, allora dato per imminente. Con un appello pronunciato a braccio durante l'Angelus del 1° settembre e la veglia di preghiera silenziosa (con annesso digiuno), riuscì in ciò che neppure l'Onu era riuscita a fare: fermare i cacciabombardieri che già rullavano sulle piste degli aeroporti militari della Nato diretti sulle città della Siria.
Un'azione del genere sarebbe stata pura utopia durante l'ultima fase della stagione ratzingeriana, resa instabile dai furti di documenti dall'appartamento papale e dalla lotta tra fazioni curiali. Ma allora, visto che adesso c'è Papa Francesco, la domanda viene spontanea: che ce ne facciamo dell'Onu?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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