Vuole più diritti gay e più accoglienza? Sala si dimetta e si candidi alle politiche

Il sindaco sogna un asse largo sui registri dei figli delle coppie gay. Se vuole scendere in campo, non saremo noi a fermarlo: si dimetta, liberi Milano, si candidi e provi a vincere

Vuole più diritti gay e più accoglienza? Sala si dimetta e si candidi alle politiche

Ieri a Milano il sindaco non c’era. Beppe Sala aveva di meglio da fare che amministrare la città. È volato a Bruxelles per incontrare alcuni rappresentanti del gruppo dei Verdi. Sul tavolo il registro delle adozioni delle coppie omogenitoriali. Da quando il governo glielo ha bloccato è diventato l'unico pallino che gli rimbalza per la testa, la sola preoccupazione per cui si batte imperterrito. Altro che il degrado in cui versano (inesorabilmente da anni) numerosi quartieri. Altro che l'emergenza sicurezza che dilaga ormai anche nel centro storico. Altro che il caro vita che, anziché contrastare, il primo cittadino contribuisce a incrementare a suon di nuovi balzelli.

È stato lo stesso con l’immigrazione. Anziché preoccuparsi dei problemi dei milanesi, fiaccati da cinque anni di amministrazione Pisapia, durante il suo primo giro a Palazzo Marino si è gettato anima e corpo a sostenere gli ultrà dell'accoglienza. Due esempi: nel 2017 la marcia "Insieme senza muri" per "una Milano sicura e accogliente"; nel 2018 la tavolata multietnica all'Arco della Pace. "L'accoglienza per noi è irrinunciabile – il suo mantra – è il momento di offrire un’alternativa, se crediamo veramente che la via portata avanti nel mondo da Salvini, e non solo da lui, sia sbagliata: io sono l’anti-Salvini". E più il sindaco si schierava al fianco degli immigrati, più il capoluogo lombardo finiva in balìa di stranieri e sbandati. La stazione Centrale e le vie che la circondano, in primis. E poi i bastioni di Porta Venezia. Ma anche quartieri periferici come piazza Selinunte e via Padova (per citare i più disastrati). Nemmeno le violenze in piazza Duomo a Capodanno 2021 gli hanno aperto gli occhi.

Ora sembra un po' meno incline a picchiar duro su immigrazione, accoglienza e integrazione. Preferisce lisciare il pelo alla comunità Lgbtqi+. Un’operazione che va avanti da tempo. I calzini arcobaleno per promuovere il Gay Pride del 2019 ("Per una Milano dei diritti"). E poi l'orologio, sempre arcobaleno, per l'edizione del 2021 che si batteva per il ddl Zan. E infine, lo scorso anno, la camicia bianca con bandiera sul cuore, pure quella arcobaleno. Ma l'operazione più plateale, dopo la metropolitana di Porta Venezia colorata ad hoc, è stata l'istituzione del registro dei figli delle coppie omogenitoriali. Partita nel giugno del 2018, stoppata due volte dalla Cassazione, ripresa nel luglio dello scorso anno e nuovamente stoppata qualche settimana fa dal Viminale.

Adesso Sala sogna "un asse molto largo". Una sorta di ammucchiata arcobaleno che porti avanti questa battaglia. Altri sei sindaci (Bologna, Torino, Firenze, Bari, Roma e Napoli) hanno già annunciato che lo seguiranno sulla strada delle disobbedienza civile. "È evidente che il centrodestra è forte – li arringa lui – ma io ricordo a tutti che in sette anni che sono sindaco ho visto sei governi, e ho detto tutto. Non diamo per scontato che questa battaglia si debba perderla, anzi". Se Sala vuole scendere in campo, non saremo certo noi a fermarlo. Si dimetta, liberi Milano, si candidi alle elezioni politiche e provi a vincere.

Allora, se avrà i numeri in Parlamento, potrà colorare tutto il Paese di arcobaleno. Se, invece, non ha il coraggio di farlo, faccia il sindaco, una buona volta. Se non sa da dove partire, troverà, da qualche parte nel suo ufficio, il dossier sicurezza che fa la polvere.

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