«Io, dal Nilo ai Navigli accolto senza razzismo»

Egiziano. Imprenditore. Pizzaiolo pluripremiato. «Ma scriva che mi sento milanese e italiano come i miei due figli, 17 e 16 anni, nati all’ombra della Madonnina». Sembra Toto Cutugno invece è cronaca. Lui, l’italiano vero, è Nazir Lewis, in città da 28 anni, originario di Assiut, sulle sponde del Nilo. Insieme ai suoi due fratelli gestisce due pizzerie a Milano, L’Arcata 1 in via Inama 17 e L’Arcata 2 in via Turroni 4. Ha abbandonato l’Egitto nell’81 cercando fortuna come molti suoi connazionali. E l’ha trovata, la sua dea bendata, nei prodotti tipici del Meridione...
«Devo ringraziare questo Paese, ho fatto fortuna con mozzarella e pomodoro». Sentite: è stato nominato campione europeo nel 1994 per la sua pizza dal «diametro giurassico» così segnalata nella guida dei golosi Pappa Mondo, i due locali fanno spesso il tutto esaurito e fra i clienti ci sono soprattutto italiani.
Signor Lewis siamo razzisti noi italiani?
«Ma che dice? Fossero tutti come voi, pardon, come noi. Anch’io mi sento italiano».
Ieri il ministro degli Esteri de Il Cairo ha parlato di «campagna di aggressione» da parte degli italiani verso le minoranze arabe e musulmane...
«Ma cosa dice (quasi urla), non è vero questo, non può dirlo».
Perché?
«Parlo per la mia esperienza: ho sempre incontrato persone intelligenti e accoglienti. Sono qui da quasi 30 anni, un’idea me la sarò fatta. Certo le cose non arrivano dal cielo, bisogna conquistarsele, faticare, impegnarsi».
I suoi figli frequentano il liceo scientifico a Milano, le hanno mai riferito episodi di intolleranza?
«Mai. Si trovano benissimo, sono nati qui. Hanno un sacco di amici e la testa sulle spalle. Ogni tanto mi aiutano al ristorante».
Come giudica le violenze di Rosarno?
«Forse non sono bene informato ma mi è sembrata una questione di lavoro, di compenso, non di razzismo. Forse la gente usa la parola “razzismo” a sproposito ma qui non c’entra la razza, penso che il vero problema sia la mancanza di lavoro...».
È offensivo chiamare qualcuno negro?
«A esser sinceri non sono mai stato chiamato così, né ho mai sentito pronunciare qui dentro questa parola».
È vero che gli italiani sfruttano gli extracomunitari pagandoli una miseria?
«Per la mia esperienza no. E prima di aprire la pizzeria ho fatto il cameriere, il barista e il pizzaiolo presso altri ristoranti, per imparare il mestiere».
Chi lavora sotto di lei, italiani o egiziani?
«Siamo tre famiglie allargate, figli, nipoti, cugini, ce n’è per tutti».
E la religione diversa è un problema?
«La fede è un fatto personale fra me (o un altro) e Dio.

Vedo tanta gente tutti i giorni, se c’è un aspetto da non trascurare quello è l’educazione».
Ma lei ha amici italiani?
«Ne ho tre, vivono a Milano. Sono i più cari che abbia mai avuto».
Viva l’Italia?
«Viva l’Italia».

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