Forse aveva ragione G.K. Chesterton quando scriveva che «un vero soldato non combatte perché ha di fronte a sé qualcosa che odia, combatte perché ha alle sue spalle qualcosa che ama». Christian Capelli, 34 anni, Graduato scelto del Comando Truppe Alpine, è cresciuto tra le penne nere. Nato a Sondrio, le ha sempre viste. Un po' come le montagne: «Sono cresciuto in una terra di alpini e lì tutti hanno fatto la naja con loro». La vocazione arriva presto, alle elementari: «Mi hanno chiesto che cosa volessi fare da grande e ho risposto: Il militare. Forse per la divisa, per avere uno scopo più grande di me, per non lavorare solo per me stesso, per dare una mano agli altri: credo siano stati questi i motivi che mi hanno spinto a diventare un alpino». Il seme era gettato.
Ci sono voluti però ancora alcuni anni affinché quel desiderio diventasse realtà: «Ero in quinta superiore, leggevo Focus e una volta mettevano delle cartoline che compilavi e spedivi. In cambio, l'Esercito ti mandava tutta la documentazione necessaria per fare domanda: così, dopo svariate visite e concorsi, mi sono arruolato e ho iniziato l'addestramento a Verona, nel 2008. Un periodo tosto».
Christian arriva così alla caserma dell'85esimo reggimento. I primi quindici giorni sono i più duri. «È il periodo in cui puoi alzare la mano e tornare a casa senza firme o passaggi. C'è una scrematura psicologica: ti danno cinque minuti per mangiare, devi fare la doccia insieme a 240 persone in pochi secondi... Passati questi giorni, non ho mai avuto dubbi sul fatto di voler restare: fai amicizia con i ragazzi e tutto scorre. Sono loro che ti aiutano a non cedere. È uno dei periodi più tosti, ma anche più indelebili della vita».
Christian viene poi mandato a Merano, all'ex 24esimo Reggimento di manovra alpino che oggi si chiama Reggimento logistico Julia, dove resta per 15 anni anche perché, nel frattempo, viene riconfermato con l'incarico di conduttore di mezzi tattici. «Nel 2018 sono stato sei mesi in Libano all'interno della missione di peacekeeping Leonte: ho posato il cappello alpino e indossato il basco blu. Per il 70% del tempo ho fatto l'ambulanziere: facevamo medical care nei villaggi sperduti, parlavi con il capo villaggio, ti dava una stanzetta e avevi una finestra di otto ore durante la quali curavamo e monitoravamo le persone. Capitava di incontrare un tuo coetaneo che aveva quattro figli, di cui due avevano mal di pancia. In quel momento lui viene da te disperato e ti chiede aiuto. È impagabile il poterlo aiutare. Io non operavo, certo, ma parlavo con loro ed umanamente è stata un'esperienza unica».
Questa esperienza lo segna e, ancora una volta, aiuta Christian a mettersi al servizio degli altri. «Nel frattempo, sono diventato istruttore di scuola guida e gestivo i corsi con i ragazzi. Quando però c'era un'attività grossa mi chiamavano, andavo, facevo le mie foto o video e poi tornavo nel mio reggimento. Ho avuto due figli. Nel 2020 sono diventato papà per la prima volta, nel 2023 per la seconda. Avevo l'esigenza di cambiare casa e mi hanno mandato a Bolzano e ora faccio parte dell'Ufficio pubblica informazione e comunicazione del Comando truppe alpine». Questo cambiamento gli permette di sviluppare la sua passione, quella della fotografia: nel 2020 ho fatto un corso di foto operatore delle truppe alpine perché cercavano un graduato che desse continuità al lavoro con capacità basilari di montagna. Sembrava fatto apposta...».
La montagna resta la grande vocazione di Christian: «Quando entri nell'Esercito, capita di trovarti in cima a una montagna e vedi altre persone i tuoi compagni - che portano il cappello alpino, pensi che stai percorrendo le stesse vie e che ti trovi negli stessi luoghi di ragazzi che - molti anni prima, con un terzo della tua età e con un decimo della tua attrezzatura - faceva altrettanto. È qualcosa che ti dà i brividi. Basta andare alle Cinque Torri: ci sono le trincee degli italiani e tu le percorri, ci sono le feritoie che usavano per guardare fuori. Fa impressione. Dici: Com'è possibile che qui ci stesse gente d'inverno?. Per non parlare delle lettere che i soldati scrivevano alle loro mamme: mi fanno venire la pelle d'oca.
Quelle persone magari non avevano la concezione di cosa fosse lo Stato italiano, ma erano lì a difendere il confine, soprattutto in Alto Adige. Tu difendi casa tua, la tua famiglia, che è dieci chilometri dietro di te».
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