Irak, storica visita di Ahmadinejad protetto dai «nemici»: gli americani

Sarà anche un Grande Satana, come lo chiamano il presidente Mahmoud Ahmadinejad e gli altri leader iraniani, ma è un Satanasso gentile e cerimonioso, capace di proteggere il nemico e pronto, alla bisogna, ad accoglierlo con il tappeto rosso. Succederà in questa strana domenica irachena quando Mahmoud Ahmadinejad, il nemico numero uno degli Stati Uniti, violerà - in qualità di riverito ospite di Stato - il «sancta sanctorum» della sicurezza americana in Irak e si siederà a colloquiare con il presidente Jalal Talabani e il primo ministro Nouri al Maliki dietro le recinzioni della Zona Verde di Bagdad.
La visita del presidente iraniano in Irak, la prima in almeno 30 anni, è sicuramente storica, ma anche un tantino paradossale. A garantire la sicurezza di un capo di Stato che i militanti filo-saddamisti e quelli di Al Qaida farebbero volentieri a fettine, contribuiranno, al fianco dell’esercito iracheno e degli attivissimi servizi segreti iraniani, i soldati americani del generale David Petraeus. Gli stessi militari contro cui il presidente Ahmadinejad distribuisce strali e attacchi quotidiani dovranno trascorrere un paio di giorni fornendogli protezione e garanzie. E i generali del comando statunitense, abituati a raccogliere prove per dimostrare i rapporti tra l’Iran e la guerriglia, dovranno stavolta mettere a punto i piani per garantire l’incolumità del grande avversario. In questa situazione da commedia dell’assurdo i nostalgici del deposto dittatore Saddam si trasformano invece in disinibiti sostenitori delle tesi che, in queste ore, i portavoce del Pentagono evitano per discrezione diplomatica di ripetere.
«Non penso che questa visita sia di grande beneficio per l’Irak visti i gravi danni causati al nostro popolo e al nostro Paese dalle pesanti interferenze iraniane», ha ripetuto ieri il parlamentare sunnita Salim Abdullah ricordando l’appoggio di Teheran ai gruppi radicali sciiti e accusando l’Iran di favorire la destabilizzazione del Paese. Molti sunniti iracheni, già poco disponibili ad accantonare il presente, sono ancor meno disposti a dimenticare il passato di Ahmadinejad, un presidente famoso per le sanguinose e spietate incursioni messe a segno dietro le linee irachene quand’era un giovane ufficiale dei pasdaran.
Questi e altri dettagli preoccupano ben poco il presidente iraniano. L’esuberante Ahmadinejad sembra in queste ore ansioso di mettere a segno un colpo propagandistico assimilabile a quello dello scorso autunno quando riuscì a parlare nell’aula magna di una delle più prestigiose università americane. Le accuse ai servizi segreti iraniani e ai pasdaran, come pure la «creazione d’insicurezza, il disaccordo e la tensione», diventano nelle dichiarazioni rilasciate alla vigilia della «storica» visita «un complotto ordito dagli occupanti dell’Irak». I soldati americani, che garantiranno la sua sicurezza difendendo il perimetro della Zona Verde, sono un esercito destinato a subire un’immancabile disfatta. «Fa parte delle abitudini americane accusare gli altri quando vengono sconfitti... Non vi sembra ridicolo che chi tiene 160mila soldati in quel Paese ci accusi d’interferenza?», dichiara il presidente iraniano. E, mentre a Bagdad già spolveravano il tappeto rosso, lancia l’ultimo affondo al Grande Satana. «L’idea di un attacco americano non ci preoccupa...

Tanto tutti sanno che non sarebbero in grado di vincere una guerra», dichiara il presidente prima di salire sull’aereo per Bagdad. E gli americani intanto sono costretti a fargli da scorta, accontentandosi dell’ennesimo monito di Bush: «Smetta di esportare terrore».

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