Iran, bomba contro il convoglio di Ahmadinejad

Mahmoud Ahmadinejad potrebbe anche vantarsi di aver previsto tutto. «Quegli stupidi sionisti stanno ingaggiando dei mercenari per assassinarmi», aveva annunciato lunedì in un discorso. Quarantotto ore più tardi, ecco puntuale il giallo di una presunta bomba a mano lanciata contro la sua vettura, ma esplosa su un pulmino con a bordo giornalisti e funzionari di governo. Ma nel discorso pronunciato subito dopo, il presidente non menziona l’incidente. E l’ordigno - descritto inizialmente come una bomba a mano - si trasforma, con il passare delle ore, in un innocuo petardo lanciato in segno di gioia.
All’imbarazzato dietrofront si contrappone l’enfasi con cui - sempre ieri - è annunciato l’acquisto di quattro esemplari del sistema missilistico S300 ceduti dalla Bielorussia. I missili - in grado di rendere più complesso un attacco ai siti nucleari - dovevano esser forniti da Mosca che rifiuta però di ottemperare al contratto firmato nel 2007.
Il giallo del presunto o fallito attentato al presidente inizia ieri mattina ad Hamadan, sonnacchiosa città di provincia, 340 chilometri a Ovest di Teheran, dove non si sono mai segnalati disordini o attività dell’opposizione. Eppure, mentre il corteo presidenziale si muoveva dall’aeroporto allo stadio, un uomo si è staccato dalla folla e ha lanciato qualcosa che è esploso accanto a un furgone. Il sito internet Khabar Online, controllato da Ali Larijani, presidente del Parlamento in rottura con Ahmadinejad, dà per primo la notizia. «Una bomba a mano è esplosa vicino al veicolo che portava i giornalisti al seguito del presidente. La macchina di Ahmadinejad era distante cento metri e lui non è rimasto ferito», spiega Khabar aggiungendo che il colpevole sarebbe stato arrestato. Per l’agenzia semiufficiale Fars, sarebbe stata una granata artigianale. Subito dopo anche Mehr riferisce di una «rumorosa bomba rudimentale». Secondo la tv satellitare araba Al Arabiya, ci sarebbero feriti.
A quelle ammissioni segue una complessa e laboriosa marcia indietro. Il primo a sorvolare sull’evento è il presidente evitando, nel discorso allo stadio, qualsiasi accenno all’accaduto. Da quel momento in poi il dietrofront è generale. A guidare le danze ci pensa l’agenzia ufficiale Irna descrivendo l’esplosione di un «innocuo petardo lanciato da un ragazzo in segno di gioia». Alla rettifica fanno seguito le rassicurazioni dei funzionari di Hamadan, solerti - dopo un silenzio durato ore - nel precisare che «non vi sono né feriti né danni». In questo tira e molla l’elemento più evidente è l’imbarazzo delle fazioni vicine al presidente.

I fedelissimi di Ahmadinejad sono preoccupati di ammettere un attentato interpretabile come la forma più acuta di un crescente e diffuso malcontento. Un malcontento che dalle piazze di Teheran e dai luoghi più turbolenti come le province curde, azere e sunnite si allarga ora all’intero Paese minacciando la sopravvivenza del regime.

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