Iran, è giallo sul treno radioattivo

Era un convoglio contaminato, una peste atomica in viaggio, un ammasso sferragliante di ruggine, radioattività e morte. Aveva le sembianze di un treno, celava il cuore nefasto di una bomba sporca. Era partito dal Tajikistan, aveva disceso le steppe kirghise, solcato i passi uzbeki , sferragliava sbuffando verso i confini iraniani. Lo hanno fermato a un passo. All’ultima fermata quella colonna di vagoni e veleno fa impazzire i contatori geiger, rivela il suo cuore contaminato, sputa quel bubbone di Cesio 137, incubo dei cacciatori di ordigni sporchi e sogno perverso di ogni terrorista nucleare.
La storia risale al 29 dicembre, ma nessuno ne parla volentieri. Non il Kirghizistan dove il carico di rottami ferrosi, proveniente dal Tagjikistan, è stato caricato sui vagoni. Non l’Uzbekistan attraversato, suo malgrado, da quel carico radioattivo. Non l’Iran già chiamato a spiegare altri segreti e misteri. Certo il Cesio 137 ha ben poco a che fare con le ambizioni nucleari di Teheran, poco a che spartire con i sospetti di cui discutevano ieri a Berlino, promettendo nuove e più dure sanzioni, i rappresentanti di Cina, Russia, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania.
I rappresentanti dei «Cinque più uno» riuniti nella capitale tedesca hanno finalmente trovato l’accordo sulla bozza di risoluzione e sulle nuove più energiche misure punitive da votare al Consiglio di sicurezza per bloccare l’ Iran e impedirgli di trasformarsi da potenza regionale in potenza atomica. Il Cesio 137 saltato fuori da un vagone di rottami ferrosi è cosa diversa. Non basta a soddisfare le ambizioni di Teheran, ma può, se affidato a un terrorista, seminare morte nel cuore di una grande città. Lo sanno bene gli agenti segreti alla perenne ricerca di scorie nucleari sovietiche destinate ai mercati clandestini. Lo sanno gli esperti che studiano i nefasti effetti del Cesium 137 dai tempi di Chernobyl.
«È l’isotopo perfetto per un attacco radiologico - ricorda Peter Zimmermann studioso di proliferazione nucleare al King’s College di Londra - emette raggi gamma potentissimi capaci di propagarsi per molti metri e superare le blindature leggere». Insomma è l’ingrediente perfetto di una bomba sporca. È capace, grazie a un piccolo innesco esplosivo, di causare centinaia di vittime nel centro di una metropoli.
L’unico modo per scovarlo sono i contatori geiger usati nella stazione uzbeka. Il 29 dicembre le loro lancette sembrano impazzite. Le autorità non ci pensano due volte e ordinano ai ferrovieri di riportare il carico alla stazione di partenza. In Kirghizistan, tre giorni dopo, una squadra di volontari scarica l’ammasso di ferraglia, riempie a colpi di pala un secchio di detriti di cesium 137 mescolati a polvere e neve. Quanti isotopi pulsanti, quanta radioattività si nasconda in quel secchio velenoso nessuno lo viene a sapere. «L’abbiamo scaricato e sigillato nel calcestruzzo», ripete senza fornire particolari il portavoce del ministero per l’emergenza Almabek Aitikeev.


Neppure l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) riesce a capirne qualcosa di più. La richiesta di urgenti e dettagliate spiegazioni dell’Aiea è partita il 17 gennaio. A tutt’oggi il Kirghizistan non ha ancora fornito alcuna risposta.

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