Iran, si impone Ahmadinejad E a Teheran esplode la rabbia

«Abbasso il dittatore». Un urlo così a Teheran non si sentiva da 30 anni, da quei gelidi giorni del gennaio 1979 quando i signori d'oggi misero fine al regime dello Scia. Ora lo stesso grido di rabbia riecheggia tra il verde e i parchi di Vali'as, l'infinito viale alberato che dai quartieri affogati nello smog sale verso i palazzi del potere e della ricchezza, congiunge le due Teheran, connette in un'atmosfera d'imminente caos il passato e l'imminente futuro. Lì e altrove bruciano le barricate dei sostenitori di Mir Hossein Moussavi, lì si respira il fumo dei lacrimogeni, lì la polizia insegue i giovani con le bandiere verde al vento. Scene di guerriglia urbana. La tv Al Arabya parla di tre morti negli scontri di piazza e di una richiesta ai giornalisti stranieri di lasciare il Paese. Mentre secondo il canale in persiano della Bbc sarebbero stati arrestati alcuni importanti esponenti riformisti, fra cui Abdollah Ramazanzadeh, già portavoce del governo di Mohammad Khatami. L'ordine è chiaro spegnere sul nascere ogni protesta, ripulire parchi viali e piazze, cancellare l'indignazione per la vittoria rubata. Ma loro non si danno per vinti. Ricompaiono a centinaia, sbucano dalle vie attorno al ministero degli Interni, ululano la loro rabbia contro chi ha spento il loro sogno. «Il governo mente al popolo, il dittatore ruba i nostri voti». Certo è difficile immaginare una nuova rivoluzione quando la rabbia degli illusi deve fare i conti con i bastoni della polizia, le falangi dei pasdaran, i toni quasi irridenti del vincitore. «Riconfermandomi al potere, il popolo iraniano ha fatto una grande scelta» dichiara Ahmadinejad in un discorso in cui parla di voto «totalmente libero» e respinge le accuse di brogli. Sui quali la Casa Bianca promette: «Continuiamo a monitorare da vicino l’intera situazione, comprese le accuse di irregolarità».
Il clima comunque conta. Quegli scontri sono i più duri dal 1999, quando gli universitari scatenarono la rivolta negli atenei. Ma nel 1999 nessuno voleva abbattere il regime. Gli studenti allora sognavano soltanto qualche libertà e concessione in più. Oggi s'incomincia a pensare che la rivolta totale sia l'unica via d'uscita. Oggi, come 30 anni fa, i signori di Teheran sono lontani dal loro popolo, lontani dall'ondata verde che venerdì ha trascinato alle urne l'85 per cento degli elettori nel sogno irrealizzabile di un cambiamento. E in seno al regime si registrano forse le prime crepe. Nella serata di ieri circolavano voci, subito smentite, d'imminenti dimissioni di Alì Akhbar Hashemi Rafsanjani, il potente ex presidente degli anni ’90, oggi alla guida del Consiglio del Discernimento e dell'Assemblea degli Esperti, l'organo costituzionale più importante del Paese a cui è affidata la scelta della Suprema guida, la massima autorità politica e religiosa del Paese. Un potenziale addio alle stanze del potere di Rafsanjani, rivale storico della Suprema guida Alì Khamenei ufficializzerebbe, per la prima volta in 30 anni, uno scontro aperto all'interno del sistema.
Intanto, Mir Hossein Moussavi, il 64enne ex primo ministro illusosi di poter cambiare la storia, grida la sua rabbia. «Non mi arrenderò a questa manipolazione, la conclusione che ci viene offerta dalle cifre ufficiali finirà con l'incrinare dalle fondamenta il sacro sistema della Repubblica islamica per trascinarci al governo delle menzogne e della dittatura» - scrive il grande sconfitto, sul quale in tarda serata sono iniziate a rincorrersi voci di arresti domiciliari.
La manipolazione delle schede è palese. Le cifre del regime assegnano 62,6 per cento dei voti a Mahmoud Ahmadinejad contro l'appena 33,75 a Moussavi. Un risultato che, a detta dell'opposizione, è un responso invertito, un voto scambiato. «Io e tutti i miei amici siamo andati a votare per Moussavi per imporre la svolta... la vittoria di Ahmadinejad è solo una truffa, questa è l'ultima volta che vado a votare» - urla infuriato Nasser Amiri, impiegato dell'ospedale di Teheran. Ma serve a poco. Ancor meno serve l'appello di Moussavi a Khamenei, per chiedergli di fare luce su brogli e violazioni. La risposta gelida e indifferente arriva in un messaggio televisivo. «I nemici - declama Khamenei - s'illudono d'infangare la dolcezza di questo evento con le loro provocazioni ostili. Ma io chiedo a tutta la nazione, soprattutto ai giovani, di essere vigili.

Oggi è il giorno della calma e della pazienza». Poi invita la nazione ad unirsi dietro il presidente confermato, impone la conferma di Mahmoud Ahmadinejad, la sigilla con la qualifica fatale e finale della “scelta divina”.

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