Come in Iraq: la Cina alla Conferenza di Parigi vuole il petrolio libico

Pechino non ha mai riconosciuto l'autorità del Consiglio di transizione libico. Ma questo non le impedisce di partecipare alla Conferenza di Parigi e di accampare diritti sull'oro nero

Come in Iraq: la Cina 
alla Conferenza di Parigi 
vuole il petrolio libico

Se "historia docet" occhio alla Cina. E al nostro petrolio. Quando nell'Irak del dopo Saddam si aprirono le aste per le concessioni petrolifere i più veloci a mettere le mani sui grossi giacimenti non furono le compagnie americane, ma quelle cinesi. In Libia rischia di andare allo stesso modo. Alcuni indizi già ci sono. La Cina, pur non avendo mai riconosciuto l'autorità del Consiglio di Transizione di Bengasi, partecipa con il vice ministro degli esteri Zhai Jun alla conferenza sulla ricostruzione della Libia aperta oggi a Parigi dal presidente Nicolas Sarkozy.
Zhai non passa di lì per caso. Con Muammar Gheddafi in sella Pechino importava 150mila barili di greggio libico al giorno (il 10 per cento della produzione) e soddisfava il 3 per cento del proprio fabbisogno. In cambio 75 aziende di Pechino, tra cui 13 controllate dallo Stato, lavoravano a 50 progetti del valore di 15 miliardi di euro. La ricetta era la stessa usata per mettere le mani sulle ricchezze del resto dell'Africa. In cambio di lavoratori a prezzi stracciati e privi di tutela Pechino portava a casa materie prime e risorse energetiche. Un baratto che nessun Paese occidentale può permettersi. Un baratto allettante anche per le nuove autorità libiche costrette non solo a far fronte alla ricostruzione, ma anche alla precedente mancanza d'infrastrutture. Da questo punto di vista il mancato riconoscimento del Cnt e i buoni rapporti mantenuti con il raìs fino a pochi mesi fa - quando un ministro di Tripoli venne ricevuto a Pechino - sono ininfluenti. La pragmatica politica estera ed economica di Pechino non si basa sulle relazioni internazionali, ma sugli interessi reali. E il costo iperbolico di una ricostruzione affidata esclusivamente agli occidentali è la miglior garanzia dell'indispensabilità cinese.
Ma non solo. Pechino sa anche che l'economia americana e quella europea non sono oggi in grado di finanziare progetti di lungo termine. Non a caso l'arrivo dell'osservatore cinese a Parigi è stato preceduto, all'indomani della caduta di Tripoli, dalla visita lampo di Sarkozy al suo omologo Hu Jintao del 25 agosto. In quell'incontro - incentrato ufficialmente sulla crisi dell'euro - Sarkò avrebbe barattato il sostegno della Cina alla moneta europea con il via libera alla sua partecipazione al grande business libico. Non che Pechino non ci avesse già pensato. A giugno l'ambasciatore cinese in Qatar Zhang Zhiliang aveva incontrato a Doha il rappresentante dei ribelli. Subito dopo un diplomatico di Pechino era volato dall'Egitto a Bengasi per un appuntamento con il capo dell'Ntc Mustafa Abdul Jalil. Preliminari seguiti poche settimane fa dal viaggio in Cina di un alto esponente dei ribelli e dall'arrivo a Bengasi del vice ministro degli esteri cinese per l'Africa.
Ma la doppiezza di Pechino è sempre a tutto campo. Se oggi è pronta a far affari con i nuovi capi libici pur senza averli mai appoggiati è anche interessatissima a mantenere ottimi rapporti con il Ciad, l'Algeria, il Niger e il Sudan.

Tutti Paesi amici sia di Pechino, sia del vecchio Gheddafi. Paesi da dove potrebbe continuar l'opera di destabilizzazione del nuovo regime. Paesi da cui Pechino potrebbe riaffacciarsi se falliranno gli ambiziosi progetti discussi oggi alla corte di re Sarkò.

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