Isabelita, l’ultima Perón desaparecida nella storia

Era desaparecida anche lei, inghiottita dalle ombre della storia. C’è voluto un mandato d’arresto spiccato da un giudice di Mendoza in Argentina, Raúl Acosto, per riportare alla ribalta Maria Estela Martinez detta Isabelita, terza moglie e vedova settantacinquenne di Juán Domingo Perón. Il caudillo che fu suo amante e suo marito ha lasciato un’impronta indelebile nella grande nazione sudamericana - basta pensare che l’attuale presidente argentino, Nestor Kirchner, si professa peronista - e nel linguaggio politico mondiale. Il peronismo è qualcosa di più e di meno di un’ideologia, è la definizione d’uno speciale rapporto tra il Capo e la massa.
Nel lungo tragitto umano di Perón e nel dopo Perón - che hanno avuto aspetti tragici, aspetti truci, aspetti grotteschi - Isabelita è entrata solo perché il sanguigno ex dittatore, esule a Panama, si invaghì di lei che era ballerina in un night club. Da allora in poi questa donnina fragile ma non priva d’astuzie cercò d’adeguarsi al ruolo di consorte del «líder» deposto: condividendone l’ostentata adorazione per la seconda moglie, Evita, e per il suo cadavere imbalsamato. L’Argentina che s’era inchinata al fascino del primo Perón, fascistoide «con juicio», aveva assistito alla sua cacciata nel 1955: ma molti continuarono a rimpiangerlo, invocandone il ritorno. Che si fece attendere molto, ma che infine avvenne.
Partecipai a una cena con Perón, in un grande albergo romano, alla vigilia di quel 20 giugno del 1973 in cui rientrò in Patria, atteso e temuto. Scese da un aereo tra tumulti e sparatorie che provocarono, proprio nello scalo internazionale di Ezeiza, molti morti. Chiacchierando con lui prima che prendesse la grande decisione avevo avuto l’impressione di trovarmi di fronte a un vecchio signore un po’ imbolsito e svogliato, a volte assente, mosso al ritorno più dalle pressioni di chi l’attorniava o di chi lo aspettava che da sua personale ambizione. Presidente era un anonimo Hector Campora, un peronista portato al potere da elezioni trionfali. Una controfigura, in attesa del protagonista autentico. Questi aveva preso alloggio con Isabelita in una villa d’un sobborgo residenziale di Buenos Aires, sempre circondata da inneggianti e vocianti ultrà.
Noi giornalisti seguivamo le manifestazioni. Perón non aveva tregua, con Isabelita doveva affacciarsi di continuo: e la moglie intonava a squarciagola, con la sua vocetta da bambina, «se siente, se siente, que Evita está presente». Era un uragano di applausi quando Perón prendeva la parola. «State attenti - esordì in una di quelle sue apparizioni - perché può succedere qualcosa di grave». Pareva si riferisse a eventi terribili, invece si rivolgeva a ragazzotti che per vederlo meglio s’erano arrampicati sugli alberi della strada dov’era la villa, e rischiavano di farsi male cadendo.
La situazione si evolse rapidamente. Furono indette nuove elezioni e Perón si presentò insieme alla moglie, candidata alla vicepresidenza con la formula «Perón y Perón». L’Argentina si consegnò con entusiasmo a Perón, del quale era evidente il declino nel fisico e nell’autorità. Il Paese era insidiato da una doppia minaccia guerrigliera, quella dell’estrema sinistra e quella dei montoneros che, di estrazione peronista, volevano anche loro la rivoluzione. Ricordo un discorso di Perón dal balcone della Casa Rosada, il palazzo presidenziale. Nel momento in cui accennò all’importanza che legge e ordine fossero ripristinati un buon terzo della piazza si svuotò come per incanto, era la protesta dei montoneros. Gli studenti beffeggiavano il «tandem» presidenziale. Ho visto sui muri dell’Università la scritta «nosotros los pelotudos votamos una muerta, una puta y un cornudo», «noi i coglioni votiamo una morta, una puttana e un cornuto».
A poco più d’un anno dal ritorno Perón morì d’infarto, Isabelita ebbe un potere che superava di molto le sue capacità. La ballerina di Panama ebbe le redini d’un Paese travagliato da tensioni sociali tremende. La protezione superna di Evita non le bastava, cercò appoggio in una sorta di Cagliostro minore, José Lopez Rega: tenore mancato, adepto di riti esoterici, assurto al rango di ministro onnipotente, soprannominato il «brujo», lo stregone. Rammento una arcana sfera di cristallo che Lopez Rega aveva fatto installare nel parco Palermo della capitale argentina. Giancarlo Elia Valori, che fu assiduo di Perón, ha di Lopez Rega un pessimo ricordo: «Fino al ritorno di Perón in Argentina aveva un ruolo puramente da cameriere, ai colloqui non partecipava mai se non per servire una bibita o un caffè. Era l’autore di un libro intitolato Dall’Alfa all’Omega, nel quale parlava di una chiesa al disopra delle chiese».
Già Perón, negli ultimi mesi della sua esistenza, s’era scagliato contro chi voleva infiltrare il marxismo nel peronismo. La svolta si accentuò sotto Isabelita, e in opposizione al terrorismo di sinistra - che era spietato - fu organizzata ancor più spietatamente la triplice A, Alleanza Anticomunista Argentina. Mentre si susseguivano gli ammazzamenti (con 600 desaparecidos) i militari esercitarono fortissime pressioni su Isabelita affinché emanasse disposizioni drastiche, e infatti un decreto autorizzò l’esercito a «svolgere le operazioni militari e di sicurezza che siano necessarie per annichilire le operazioni degli elementi sovversivi in tutto il Paese». Proprio queste disposizioni legittimano l’accusa a Isabelita d’essere corresponsabile nella sparizione di un giovane, Hector Aldo Fagetti Gallego.
Venne infine il giorno in cui i militari, non accontentandosi più della mano libera che avevano in buona sostanza ottenuto, eliminarono la povera Isabelita con la sua corte dei miracoli, relegandola nell’oscurità che le spettava.

Ma in quella corte un miracolo si produce ancora: la vitalità d’un peronismo che, pur attraverso infinite sconfitte, scandali, miserie, esercita sugli argentini un fascino incredibile. Opera forse dei filtri del «brujo criollo», il mago José Lopez Rega.

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