«In Italia troppa tolleranza Non c’è certezza della pena»

«I fatti di Roma? Un’analisi seria dei disordini non può prescindere da uno studio sugli autori delle devastazioni. Chi sono? Da dove sono usciti? Quale è il terreno di coltura di queste squadre di giovani che sono arrivati con gli zaini pieni di spranghe e si sono dati appuntamento in rete per entrare in azione e impedire una dimostrazione pacifica?». La professoressa Elena Aga Rossi, storica contemporanea, autrice di saggi, membro del comitato scientifico della Fondazione Magna Carta, già docente alla Luiss e all’Università dell’Aquila, traccia un ritratto lucido, quanto impietoso, del caos in cui rischia di precipitare il nostro Paese.
Perché professoressa la situazione è degenerata fino a questo punto?
«Perché in Italia c’è la quasi certezza dell’impunità. Intendo dire, che in qualsiasi altro Paese se qualcuno incendia auto e sfascia vetrine con le spranghe viene arrestato, punito e costretto a risarcire. Anche in solido. Da noi invece no. O non viene fermato, perché non si riesce ad individuarlo, o, quando viene fermato, viene subito rilasciato grazie ai meccanismi della giustizia italiana che non tutelano i cittadini dai reati di violenza. In Italia non c’è la certezza della giustizia».
Secondo lei i violenti escono in gran parte dai centri sociali?
«Nei centri sociali abbiamo spesso situazioni di illegalità tollerata per ragioni di calcolo politico dalle istituzioni. I violenti possono uscire anche dai centri sociali. Ma, attenzione, potrebbero essere anche figli di miei colleghi. Figli di quella media borghesia che, nel nostro Paese, non è capace e non è stata capace di educarli adeguatamente al rispetto della proprietà al rispetto delle istituzioni, al rispetto della legge e anche ovviamente al rispetto delle idee degli altri».
Un’altra di quelle che lei definisce «anomalie italiane»?
«Certamente. Perché è frutto di una situazione insana che porta giovani frustrati di 30-35 anni a vivere ancora in famiglia sulle pensioni dei genitori. I genitori alimentano questa situazione insana, fornendo ogni sostentamento economico e soddisfacendo ogni desiderio dei loro “ragazzi”, invece di costringerli ad impegnarsi nel mondo del lavoro accettando anche lavori non proprio esaltanti. In Italia rigidità burocratiche e modi di pensare obsoleti impediscono anche lavori saltuari per periodo brevi che sono comuni altrove. Nel mio campo giovani bravi, dopo il dottorato se vogliono mettere a frutto il proprio bagaglio di studi devono lasciare questo Paese perché la mancanza di posti di lavoro non lascia spazio a chi invece ha buone idee. Questa categoria di persone ha giustamente tutto il diritto di indignarsi».
Torniamo al discorso sull’illegalità diffusa e sulla tolleranza di questa illegalità...
«La considerazione da fare è sostanzialmente una: se in Italia oggi uno commette qualcosa di illegale, specie se questa illegalità si traduce in fatti come quelli di Roma, è praticamente sicuro di farla franca. Per cui, convinto che continuerà ad andargli bene sarà pronto ad entrare in azione una seconda e una terza volta ancora».
Pare di capire che l’operato delle forze dell’ordine a Roma la lasci perplessa...
«Direi di sì.

Non si comprende la mancanza di misure preventive e l’inazione iniziale della polizia, di un polizia che è stata anche in primo luogo vittima e bersaglio di quelle violenze. Tra l’altro le forze dell’ordine non sono state in grado di valutare, con la dovuta attenzione, i chiari segnali che giungevano dalla rete».

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