James Dean, la leggenda che ispirò decine di cloni

Nell’ultima biografia del divo più amato appaiono molte star che l’hanno «imitato»

Maurizio Cabona

Ezra Pound languiva nel manicomio di St. Elizabeth il 12 febbraio 1954, quando James Dean ne leggeva in pubblico la traduzione de Le Trachinie di Sofocle. Dean interpretava Illo, figlio di Eracle e Deianira, ragazzo difficile come poi sarebbero stati i suoi personaggi de La valle dell’Eden, di Gioventù bruciata e de Il gigante, i film girati da lì alla morte, avvenuta il 30 settembre 1955: aveva ventiquattro anni e, con la morte precoce, è diventato la prima icona funebre della fine della modernità (sarebbero seguiti Marilyn Monroe, Che Guevara, Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Bob Marley, John Lennon...). Dunque ormai pochi hanno visto i suoi film al cinema, eppure pochi ignorano che sia esistito. Dopo tante biografie, logico dunque che giunga la mitografia, come il James Dean di Marco Giovannini (Mondadori, pp. 308, euro 9,40).
Da attore vivo, Dean copiava Marlon Brando; da attore morto, lo supera in celebrità. Brando è infatti giunto vecchio e obeso alla fine; Dean era giovane e bello - anche se la sua bellezza era essenzialmente fotogenia - quando si schiantò con la sua tedeschissima Porsche contro l’americanissima Ford di un coetaneo, lento quanto lui era veloce. Ed è ancora in virtù di questa morte che i suoi film sono entrati nella storia del cinema, molto più che per il loro valore intrinseco.
Surrogato del cadere in combattimento, morire in autostrada ha dato a Dean un alone di cui non hanno potuto usufruire Rodolfo Valentino, Jean Harlow e Marilyn Monroe, divi dalle carriere più lunghe e consolidate. Lo schianto è stato il suo precoce, personalissimo Oscar alla carriera, giunto a coronamento di tre personaggi maledetti, quanto maledetto appariva l’interprete, abile nel costruirsi fama di ribelle anche prima che Rebel without a Cause fosse il titolo originale di Gioventù bruciata. Le realtà avrebbe consolidato l’alone sulfureo: dei principali interpreti di quel film, sarebbero morti giovani anche Sal Mineo (trentasette anni), ucciso; e Natalie Wood (quarantatré), probabilmente lasciata annegare. La sera della morte di Dean, Mineo e la Wood cenavano con Nick Adams, che l’avrebbe poi doppiato nella scena del Gigante lasciata incompleta. Morale: anche lui sarebbe morto a trentotto anni. Per completare la cornice macabra, il regista Nicholas Ray si sarebbe spento sì in età avanzata, ma come in uno snuff movie: sotto l’obiettivo della cinepresa di Wim Wenders in Lampi sull’acqua.
Il libro di Giovannini contribuisce implicitamente al mito di Dean, ma non è opera di un devoto: è la secca, mai indignata analisi delle aberrazioni di chi può permettersele, più scorrevole del celebre saggio sui divi di Edgar Morin, meno scandalistica dei due repertori di perversioni intitolati Hollywood Babilonia di Kenneth Anger (già amante di Dean). Ma non tutti gli scandali sono nefasti. Chi, se non Dean, avrebbe potuto lanciare questa memorabile invettiva a una festa di Los Angeles, quando il cinema, non la tv, era l’apice dello show business? «Vaffanculo Hollywood, vaffanculo Jack Warner. Fottiamo il sistema. Merda sui produttori, i mediatori, gli investitori dell’Est. Merda sulle star, sul culto della personalità, sul fascino fasullo. Possa un terremoto come quello di San Francisco ridurre l’intonaco dell’idiozia a macerie polverose».
Logico che qualcuno dissentisse. Humphrey Bogart disse di Dean che, se «fosse scampato, non sarebbe stato all’altezza della pubblicità che s’era fatto». Rock Hudson fu più sintetico: «Non mi è mai piaciuto». Samuel Fuller - che nel 1951 aveva fatto esordire Dean nei Figli della gloria , con una sola battuta: «È l’avanguardia che torna» - liquidava con Dean un metodo di recitazione, anzi il Metodo: «Odio gli attori che, per fare un movimento o per guardarsi in giro e dire "sì" impiegano cinque minuti. (...) È falso il ribelle di James Dean, il ribelle di Gioventù bruciata, il "ribelle in automobile"». Per Eric Rohmer, invece, Dean «era come la crisalide nel bozzolo: ripiegata su se stessa. Una solitudine sofferta più che voluta, una tormentata ricerca d’affetto, d’amore o d’amicizia».
Resta che - e Giovannini lo nota - dopo James Dean sono stati legione gli attori che ne hanno ripreso gli atteggiamenti. Ieri Paul Newman, Dennis Hopper, Elvis Presley, Jack Nicholson, Gérard Blain, Jean-Paul Belmondo, Alain Delon, Warren Beatty, Martin Sheen, Robert DeNiro, Al Pacino, Mickey Rourke, John Travolta, Matt Dillon...

Oggi Keanu Reeves, Sean Penn, Johnny Depp, Brad Pitt, Christian Slater, Benicio Del Toro, Colin Farrell, Kim Rossi Stuart, Gael Garcia Bernal... E di un collega, anche lui morto troppo presto, rimane l’omaggio più concreto: «Sono contento che sia morto - diceva Steve McQueen - ora c’è posto anche per me».

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