Jeans e parolacce, ecco il nuovo Fini

L’ex leader di An ha cancellato il suo passato e ha adottato uno stile sbarazzino, anche nell’abbigliamento. La sua tattica è parlare ai più giovani, usando anche il loro gergo, per accreditarsi come uomo del futuro

Jeans e parolacce, ecco il nuovo Fini

Roma - Sono le sei del pomeriggio e i «buuu» piovono dal cielo. È una batteria rumorosa di insulti: negro, scimmia, vattene a casa, buuu, buuu. Quelli che urlano sono i «compagni di squadra» di Fini. Non c’è nulla da fare: Gianfranco è circondato da «stronzi». Pdl? Ex An? Secolo? Farefuturo? No, la curva del Bologna. Quei rossoblu come lui, quelli che un tempo facevano tremare il mondo, quelli del dottor Balanzone, delle torri, della rossa, grassa, dotta Bologna per quarantacinque minuti insultano l’unico italiano dell’Inter. Ed è quasi una beffa. Guarda come ti deludono gli ultrà della squadra del cuore. Sputare su Balotelli, proprio lui.

Il ragazzo simbolo della svolta finiana, quello a cui ha dedicato una generazione. Generazione Balotelli, appunto. Il volto imbronciato del multiculturalismo. Mourinho ha detto che deve imparare a convivere con tutto questo. Ma Supermario non abbasserà mai la testa. Non ha bisogno delle lezioni di Fini e anche Mou ha rotto con le sue prediche. A Balotelli non servono le parolacce. Non dice stronzi. Lui segna e dopo il gol li guarda in faccia tutti, uno ad uno, e li zittisce con un solo dito. Muti. Ed è un gesto più forte e carismatico di uno «stronzo» qualsiasi.

Balotelli è il nuovo, Fini vuole diventarlo. L’ex delfino di Almirante sta facendo tabula rasa del suo passato. A quasi 58 anni sembra che abbia buttato via tutto quello che c’era nei suoi vecchi armadi. È un cambio vita, un ricominciamo, un modo per archiviare tutto: la moglie, gli amori, le idee, Msi, An, i colonnelli, la Bossi-Fini, la collezione di occhiali da sole, le camicie azzurre, l’eloquenza oxfordiana, l’aplomb istituzionale, un paio di portavoci, i vecchi colleghi di redazione, forse Berlusconi, e a questo punto perfino l’orgoglio rossoblù. Deve rifarsi un futuro.

Lo strappo è netto. Fini dieci anni fa raccontava il suo look: «Mi vesto solo da Cenci e prediligo il blu. Per le scarpe sono a posto per un decennio, le prendo tutte da amici a Montegranaro, in provincia di Ascoli. Le cravatte sono spesso Naj Oleari. Me le regalano. E ho una passione per gli orologi, l’unico vezzo che la moda concede a noi uomini». Fini non ha mai un capello fuori posto. È nato per fare politica, a destra, da conservatore, senza eskimi e senza barba. È l’eleganza di chi rassicura le vecchie zie e fa esclamare ai colonnelli in pensione: è davvero un bravo ragazzo. Ma quando arriva a Torpignattara, nella borgata di Roma, lascia a casa la divisa da onorevole e si mette i jeans. Qui, tra questi ragazzini di un’Italia senza frontiere, non serve la maschera delle istituzioni. E quando uno dei cento, mille, Balotelli dice: «Mi chiamano negro». Il presidente risponde: «E tu digli stronzo». È mimetizzazione? È il look di una metamorfosi politica? È un modo per arrivare ai suoi nuovi elettori con le parole e i vestiti giusti? Qualcuno dice che va tutto bene, ma forse è proprio qui, a Torpignattara, che i ragazzi hanno bisogno di guardare il volto delle istituzioni, quello ufficiale, quello che ti dice: ecco il Parlamento. Non i genitori in blue jeans. Fini ha usato la parola “stronzi” perché stava in borgata. Era meglio usarla a Montecitorio.

Resta il concetto. Come scrivono quelli di Farefuturo: «Ignorante chi li crede diversi. Bastardo chi li crede diversi, stupido chi li crede diversi, cretino chi li crede diversi, cornuto chi li crede diversi. Subnormale chi li crede diversi, ebete chi li crede diversi, scimunito chi li crede diversi. Ottuso, stolto, miope, analfabeta, cattivo, illetterato, malvagio, infame chi li crede diversi. Vile chi li crede diversi». E via così. Fini ha voltato pagina. E va bene così. Solo che resta un po’ di ambiguità. Fini fa sul serio? Basta mettersi i jeans per cambiare politica? Fini sta puntando a una destra colta, aperta, bipartisan, laica e libertaria, pesca tra gente che ha meno di quarant’anni, si presenta come leader del futuro, solo che i suoi «elettori di riferimento» non credono alla metamorfosi. Si fanno una semplice domanda: ma chi è Fini? E guarda caso è la stessa domanda che si fanno i suoi vecchi elettori di An e quelli ancora più vecchi del Msi.

Chi è allora Gianfranco Fini? Non basta un jeans, uno stronzo e un alleluja agli immigrati. Serve qualcosa di più.


Altrimenti ha ragione Marcello Veneziani, che si è visto arrivare da un universo parallelo il gemello colto e intellettuale di Gianfranco, quello che scrive libri, quello surgelato per anni, cannibalizzato dall’altro, il gemello politico, di piazza, governo e sezione. Chi dei due è andato a Torpignattara? Speriamo che con quello «stronzo» Fini non abbia sgozzato il gemello intellettuale.

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