Jimenez scommette su se stesso E Matrix garantisce: «È fortissimo»

Due gol valgono una scommessa? Forse. Luis Jimenez è abituato a scommettere. Non tanto al casinò, quanto su se stesso. Lo ha fatto quando, a 16 anni, un gruppo di imprenditori ha deciso di investire su di lui. Unica condizione: lasciare il Cile e Santiago, la città dove è nato. Gli dicono: dove vuoi provare in Europa? E lui risponde: «Italia». Detto e fatto. Se lo giocano Parma e Ternana. Sceglie l’Umbria, il Parma stava già affogando in amministrazione controllata per la vicenda Parmalat. Scelta felice per un annetto, poi sono state tribolazioni ed altre scommesse.
Va a Firenze, ma molla quando Calciopoli lascia il segno. Subisce il mobbing alla Ternana per un braccio di ferro con patron Longarini. Intenta una causa di lavoro alla società e, davanti al giudice, trova l’accordo per andare alla Lazio. Lo segue l’Inter e lui questa estate riscommette. Rinuncia ai soldi che gli doveva la Ternana. In più promette: vado a Milano e, se mi rispediscono indietro, torno a Terni a metà stipendio. Ed ora eccolo. Luis com’era Suarez, ma lui è molto meno. Cileno come Jorge Toro che fu un simbolo del Colo Colo prima di venire a Modena e alla Sampdoria, esportatore di buon calcio e gol come Zamorano e Pizarro e come doveva Hugo Rubio che il Bologna di Maifredi scelse al posto di Zamorano. Si faceva chiamare passerotto, ma al posto delle ali aveva il piombo.
Jimenez, più che un passero, è un cerbiatto con il guizzo del leprotto. Un po’ artista e un po’ apprendista. A dispetto di quel giocare un po’ svagato d’inizio anno, il tipo è abituato alla cultura del lavoro: appena arrivato in Italia ha preso lezioni da Mario Beretta che oggi allena il Siena e che allora (2002) stava sulla panca della Ternana. Poi gli toccò l’esperienza con Cesare Prandelli. Ora con Mancini. Tutte mani che sanno sgrezzare la pietra impura. Mancini ha sempre creduto nelle sue qualità. Fin da questa estate ha ripetuto: potrebbe sorprendervi. Ora comincia ad averne risultati: un gol contro il Fenerbahce, una partita convincente a Firenze con rete del buon ricordo. Mancini ha usato un sistema collaudato. Ha provato Luis, ha captato i problemi che non erano solo muscolari (pubalgia) ma anche di inserimento: timidezza, svagatezza, difficoltà ad entrare in sintonia con le necessità di una grande squadra. Jimenez è un ragazzo cresciuto in fretta anche nella vita: ha avuto un figlio quando un padre serviva ancora a lui. Lo adora, ma oggi vive con un’altra donna. E il bimbo cresce in Cile. Luis ha poco più di 23 anni e, in testa, quella scommessa da vincere. Lo diceva anche quando se la passava solo tra panca e tribuna. «Io non mollo, non mi hanno ancora conosciuto. Lo dimostrerò sul campo». Se ce la farà, l’Inter dovrà sborsare 10 milioni di euro alla Ternana.
Dice Mancini che tocca il pallone come pochi, ma deve anche aver testa come pochi. Quando torna nel suo appartamento, al centro di Milano, si attacca al computer e studia. Si è iscritto alla facoltà di Ingegneria, via internet appunto, ed ha già dato un esame. Nell’Inter piace alla gente che piace. Materazzi non ha avuto dubbi nel dire: questo è fortissimo. Mancini è riuscito perfino ad ironizzare su se stesso.

«Jimenez? È forte, certo che se l’allenatore lo facesse giocare sarebbe meglio». L’allenatore gli ha dato ascolto e Jimenez ha dato ragione a quel Mancini che lo ha sponsorizzato. Felice di scoprire che il dottor Jekyll ha messo a dormire mister Hide.

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