In Kenya massacri tribali: 50 bruciati dentro una chiesa

Orribile episodio a Eldoret, 350 chilometri da Nairobi. Centinaia i morti nel Paese: si teme un altro Ruanda. La Farnesina ai turisti italiani: "Non partite". Ma gli occidentali per ora non sono in pericolo

In Kenya massacri tribali:  
50 bruciati dentro una chiesa

Ora non è più scontro politico. Ora è lotta tribale, crudele, spietata, ancestrale. A spazzare via l'ultimo pretesto di uno scontro legato al voto o a una parvenza di democrazia ci pensano gli orrori e gli strazi di Eldoret, il massacro e il rogo di una chiesa che rievoca i fantasmi del Rwanda o quelli di tante altre spietate guerre africane. Quei cinquanta corpi straziati dai machete e consumati dalle fiamme sono solo l'ultima sferzata dell'epidemia di odio e violenza che da domenica ad oggi ha consumato quasi 300 vite e costretto all'esodo oltre 70mila persone.
L'esplosione di violenza è stata innescata dalla decisione della commissione elettorale kenyota di ignorare le proteste dell'opposizione guidata da Raila Odinga e annunciare la vittoria per un pugno di voti (4.584.721 per Kibaki 4.352.993 per Odinga) del presidente uscente Mwai Kibaki. Dal giuramento di Kibaki svoltosi domenica stessa al massacro di Eldoret il passo è breve. Eldoret è il capoluogo delle regioni occidentali a circa 350 chilometri dalla capitale controllate da quelle tribù Luo che guidano l'opposizione e rappresentano il nocciolo duro del movimento di Raila Odinga. Domenica sera nelle zone intorno ad Eldoret si scatena la caccia ai Kikuyu, la tribù dal presidente uscente che dal 1963, anno dell'indipendenza del Kenya, domina il Paese. Per i Kikuyu in fuga la chiesa di Eldoret, legata al culto Wakori, una commistione di riti cristiani e pratiche animiste, rappresenta l'unico luogo sicuro. L'edificio, oltre a essere un luogo di ritrovo tradizionale dei Kikuyu, si trova in città ed è presidiato dalle forze di polizia.
Per i Luo l'edificio diventa il simbolo del nemico, l'appuntamento per l'immancabile spietata vendetta. Torme di militanti uomini armati di machete e armi da fuoco circondano la chiesa, spazzano via gli esili cordoni di sicurezza, fanno irruzione. Tra le mura consacrate alla preghiera si consuma, in pochi minuti, una truce orgia di violenza. I machete fanno pezzi uomini, donne e bimbi. Pistole e fucili abbattono chi tenta di fuggire. Quando dai cumuli di corpi non si leva più neppure un grido, l'ultimo affronto. Qualcuno fa arrivare le taniche di benzina, inonda cadaveri e pareti, lascia consumare in quell'enorme pira i cinquanta sfortunati nemici. Una cinquantina di feriti sopravvissuti per miracolo a machete e fiamme raggiunge l'ospedale della città.
La strage di Eldoret rischia ora di diventare la ferita insanabile, la piaga capace di risvegliare il mai sopito conflitto tribale. Ieri, poco prima della scoperta del nuovo massacro, il Kenya sembrava avviarsi verso una situazione di relativa calma. Gli slum di Nairobi e le altre strade della capitale erano presidiate dalle forze armate. Davanti ai pochi negozi aperti si allungavano le code, ma non si registravano più scontri né a Kibera, feudo del leader dell'opposizione né a Korogocho, l'altro grande slum dove le battaglie tra Luo e Kikuyu hanno causato almeno 40 vittime. Altre voci non confermate riferivano ieri di almeno 55 corpi allineati all'obitorio di Kisumu, una cittadina sul lago Vittoria, dove è stato imposto il coprifuoco.
La decennale voglia di riscatto dei Luo e degli altri gruppi tribali minoritari è comunque solo il carburante che alimenta questi scontri. La scintilla capace d'innescarli resta sempre il contestatissimo risultato delle elezioni dello scorso 28 dicembre. A esprimere forti dubbi sulla vittoria attribuita al presidente uscente contribuiscono ora anche gli osservatori dell'Unione europea.

«Sono state votazioni poco chiare ben al di sotto degli standard internazionali di democrazia», annunciava ieri un comunicato degli osservatori europei auspicando un'indagine indipendente e il controllo pubblico dei risultati di tutti i seggi.

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