Il Kosovo: «Presto l’indipendenza» I serbi: sarà guerra

Gli albanesi del Kosovo sono pronti a dichiarare l’indipendenza, e da Belgrado rispondono che è «una minaccia», contro cui si starebbero preparando 25mila paramilitari serbi.
Per ora la «guerra» è solo a parole, ma le dichiarazioni del primo ministro Agim Ceku durante la visita a Londra di due giorni fa non lasciano presagire nulla di buono. Secondo l’ex capo di stato maggiore dell’Uck, il disciolto Esercito di liberazione del Kosovo, l’indipendenza «è inevitabile». Ceku, parlando ai giornalisti al Foreign Office, ha indicato anche una data: «Succederà subito dopo la conclusione dei lavori della troika il 10 dicembre». Il primo ministro kosovaro si riferisce al termine ultimo per i negoziati fra le delegazioni di Belgrado e di Pristina, garantiti dalla troika internazionale composta da Stati Uniti, Russia e Unione Europea.
Tutti sono pessimisti sul successo della trattativa e già si parla di una nuova conferenza internazionale sul Kosovo. I serbi sono pronti a concedere solo una larga autonomia, mentre gli albanesi non demordono dall’indipendenza. L’ambasciatore russo all’Onu, Vitaly Churkin, ha inoltre dichiarato che la data del 10 dicembre «non è la fine del mondo». Secondo Ceku, invece, una volta passato il 10 dicembre, la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo arriverà entro breve tempo: «Parliamo di un paio di giorni, non settimane né mesi».
La risposta di Belgrado non si è fatta attendere. Ieri il governo serbo ha fatto sapere di essere seriamente preoccupato per le dichiarazioni di Ceku, bollate come «una minaccia» al proseguimento dei negoziati. «L’indipendenza proclamata unilateralmente è un’azione separatista», ha sottolineato Belgrado. Il quotidiano Kurir di Belgrado ha rivelato che sono già pronti i piani di mobilitazione in caso di «secessione» del Kosovo. In 48 ore scatterebbe l’operazione «portacenere» per separare Mitrovica, la città divisa a metà con gli albanesi, dal resto del Kosovo e in qualche modo cercare di difendere o evacuare le enclave serbe disseminate all’interno della provincia. L’operazione sarebbe condotta da una forza paramilitare composta da 25mila uomini, che avrebbe accesso alle caserme serbe.
Milan Ivanovic, uno dei leader dei serbi rimasti in Kosovo, ha chiesto che le forze di sicurezza di Belgrado tornino nella provincia ribelle. La risoluzione dell’Onu, che sancì il ritiro dell’esercito di Belgrado nel 1999, prevede il rientro di un migliaio di poliziotti. La polizia delle Nazioni Unite, che amministra il Kosovo, ha proibito la marcia di protesta annunciata per il 14 ottobre dalla «Guardia del principe Lazar», un gruppo ultranazionalista serbo. Lazar era il re serbo che morì combattendo contro i turchi a Kosovo Polje nel XIV secolo.
Sul fronte albanese, l’Uck si è formalmente sciolto, ma aumentano le segnalazioni di uomini in divisa che circolano nelle roccheforti dell’indipendentismo, come a Drenica o Djakovica. Un nuovo Uck che rinnova gli addentellati extraterritoriali, nella valle di Presevo, in territorio serbo, a ridosso della provincia ribelle, e in Macedonia. Circa 12mila veterani dell’Nla, l’Uck macedone, sono pronti a riprendere le armi per appoggiare l’indipendenza del Kosovo. Ieri il quartier generale dell’Onu a Pristina è stato evacuato per un allarme bomba. Gli addetti alla sicurezza hanno trovato un congegno sospetto sotto uno dei mezzi delle Nazioni Unite che stava rientrando in sede. Secondo il portavoce della polizia del Kosovo, Veton Elshani, si trattava di un falso allarme, ma circa 500 studenti hanno manifestato per le vie di Pristina chiedendo l’indipendenza e urlando lo slogan: «Il Kosovo non è la Palestina».

Nelle piazze sta crescendo il movimento Vetëvendosja, del giovane agitatore Albin Kurti. Il suo gruppo è accusato di ricevere finanziamenti dalla criminalità organizzata per scaldare gli animi, far riaccendere le violenze e arrivare alla proclamazione unilaterale dell’indipendenza.

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