L’angoscia dei parenti: «Avvertiti con gli sms»

Centinaia di persone sul molo di Reggio Calabria in attesa di notizie Il padre di un ferito: «Mio figlio non prenderà mai più una nave»

da Reggio Calabria

«Stavamo viaggiando regolarmente quando all’improvviso dopo un incredibile boato si è scatenato l’inferno, con le lamiere dell’aliscafo che di colpo si sono accartocciate come una lattina e tagliate come se fossero fatte di burro. È un miracolo se non siamo tutti morti». A parlare così, con voce ancora rotta dalla paura, è un giovane reggino che lavora da appena sei mesi a Messina in uno dei più noti alberghi della città dello Stretto e che si trovava a bordo, insieme ad altri 136 passeggeri, dell’aliscafo Segesta jet delle Ferrovie dello Stato al momento della collisione con la nave portacontainer Susan Borchard.
«Dopo il violentissimo scontro - ha aggiunto il giovane reggino - all’interno dell’aliscafo tutti i passeggeri erano, chi più chi meno, feriti, urlavano, si disperavano, piangevano, chiedevano aiuto. Ho visto sangue dappertutto e due donne letteralmente incastrate e quasi schiacciate dalle lamiere. Pensavo che scene così terribili si potessero vedere solo nei film, solo al cinema. Nessuno dei passeggeri ritengo riuscirà a cancellare dalla mente, dimenticherà mai una cosa del genere. Ripeto: chi è sopravvissuto si può considerare un miracolato anche perché l’aliscafo, fortunatamente, non ha preso fuoco altrimenti sarebbe stata la fine per tutti. I soccorsi, comunque - ha concluso il passeggero reggino che si trovava a bordo dell’aliscafo diretto a Messina - sono stati tempestivi e compiuti in modo davvero professionale da parte di chi è intervenuto».
Appresa, comunque, la terribile notizia, decine e decine di persone, radunatesi nelle due apposite banchine del porto di Reggio Calabria, hanno vissuto con terribile angoscia l’attesa di apprendere notizie sulla collisione e, in particolare, sulle condizioni dei passeggeri. «Mio figlio Antonio mi ha avvertito al cellulare. Mi ha detto di chiamare i soccorsi perché l’aliscafo su cui viaggiava aveva avuto un incidente». È il racconto di Paolo Turiaco, il padre di uno dei sopravvissuti alla collisione tra l’aliscafo Segesta Jet e la nave mercantile avvenuta nello Stretto di Messina.
«Mio figlio fa la spola ogni giorno tra Reggio Calabria e Messina, studia architettura - ha aggiunto - e mi ha raccontato di avere sentito all’improvviso una tremenda botta. Ha pensato di aiutare gli altri passeggeri, ma ha temuto di annegare». Drammatico anche il racconto del padre di un altro sopravvissuto, Ettore Interdonato. «Mio figlio Elio - ha raccontato - ha aiutato due persone che avevano le gambe bloccate e ha cercato di trascinarli via. Mi ha detto che non salirà mai più su un aliscafo in vita sua».
Parenti e amici di diversi passeggeri che viaggiavano a bordo dello scafo diretto nella cittadina peloritana. Come, ad esempio, i genitori, i parenti e gli amici di tre ragazze reggine che giocano nella squadra femminile di basket di Messina e che - come hanno raccontato i genitori delle giovani rimaste ferite in modo non grave - facevano la spola tre volte alla settimana per poter prendere parte agli allenamenti.


Senza contare le traversate compiute dalle navi delle Ferrovie dello Stato e dei privati, giornalmente nello Stretto di Messina sono una ventina circa le corse effettuate dagli aliscafi che a differenza delle altre imbarcazioni riescono a coprire gli oltre quattro chilometri di Tirreno che separano Reggio e Messina in appena quindici minuti.

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