Il governo italiano è sempre più preoccupato per quello che sta accadendo in Afghanistan. Non per linsorgenza dei talebani, bensì per loffensiva che gli alleati, insieme alle forze del governo di Kabul, conducono nella zona di Herat contro le milizie fondamentaliste. Il timore dichiarato è quello di un nostro coinvolgimento nei combattimenti. Ritorna la domanda che si è posta per la prima volta un anno fa e che da allora ha fatto fibrillare la maggioranza di centrosinistra: allora che cosa ci stiamo a fare laggiù? Cosa significa contrastare il terrorismo e aiutare il processo di pace?
La risposta che viene data in gran parte dellOccidente non è misteriosa: limpegno militare, accanto a quello civile, è finalizzato ad arginare i tentativi di rivincita dei talebani. Cè un mandato delle Nazioni Unite, cè un coinvolgimento pieno della Nato, ci sono regole dingaggio fissate a livello internazionale. Ma per lUnione prodiana tutto questo non vale. Non valgono più, in queste ore, neanche i criteri dellideologia multilateralista che è stata la base della critica allintervento in Irak e del ritiro da Nassirya. Ora lItalia esprime un suo particolare unilateralismo, che consiste nellimpegnarsi e nel disimpegnarsi, nel partecipare e nel tirarsi indietro, in un tira e molla da cui non si capisce da che parte stiamo e per cosa operiamo.
Al punto in cui siamo arrivati, dopo le dichiarazioni del ministro Arturo Parisi e le successive puntualizzazioni ufficiali, i nostri alleati hanno il diritto di porsi e di porci alcune domande. Altre, dopo quelle esplicite sulla trattativa per il sequestro Mastrogiacomo. Possono innanzitutto chiederci perché consideriamo un fattore di pericolo liniziativa militare in un teatro di guerra, decisa e attuata in coerenza con limpegno iniziato nel 2001. E di conseguenza perché non viene indicata come un prioritario motivo di allarme la nuova ondata di insorgenza fondamentalista, che si manifesta in Afghanistan e che ha, oltre lIrak, molti altri teatri nel mondo musulmano. Ci può legittimamente venire domandato a cosa è dovuto questo afflato di neutralità nella linea di scontro che si è aperta l11 settembre.
Il problema è che non ci sono risposte convincenti che riguardano la politica internazionale. Paradossalmente lunica spiegazione convincente è quella secondo la quale in Italia cè un governo debole, che sulla missione in Afghanistan è già stato messo in minoranza e che rischia di cadere proprio sulle ambiguità della sua politica estera e delle missioni militari nel mondo. Lanomalia non è tanto a Kabul, dove il processo di pace e di costruzione di un assetto stabile è stato messo in crisi da tensioni politiche interne non governate bene, da errori a cui si cerca di porre rimedio.
Renzo Foa
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