L’arma segreta del Cavaliere: scommettere tutto sulle urne

Berlusconi puntava su tre anni di quiete per fare le riforme, ma la guerriglia di Fini apre un nuovo scenario: chiedere agli elettori un nuovo mandato

Quella tentazione di rigiocarsi tutto. Nel poker texano si chiama all inn. È una mossa che qualche volta sa di disperazione. Non è sempre così. I grandi giocatori la azzardano come atto di forza, magari proprio quando hanno appena vinto una mano fantastica. È qualcosa che atterra psicologicamente gli avversari. Quante possibilità ci sono che Berlusconi giochi l’all inn? La tentazione è nell’aria. Non viene esclusa. Anzi, Bossi l’ha evocata parlando con il quotidiano di casa, La Padania. Il calendario post regionali prevedeva tre anni di pace. Niente voto. Doveva essere il tempo delle riforme: giustizia, federalismo fiscale, istituzioni. È roba su cui si discettava sui giornali e in tv una settimana fa. Bene. È vecchia e sa già di muffa. La guerriglia di Fini, dice Bossi, è una mina vagante sulle riforme. Il Nord non può permetterselo. «Io sono per la mediazione, ma i leghisti sono arrabbiatissimi, è un vero bombardamento di persone che non ne possono più di sceneggiate, rinvii, tentennamenti. Siamo stufi». Il concetto è questo: o si fanno le riforme subito, e per riforme s’intende il federalismo fiscale, o si va alle elezioni.
Questa non è una minaccia. È uno scenario. Non è un atto contro Berlusconi. È una possibilità. È un piano strategico. E non è privo di rischi. Allora perché Silvio e Umberto dovrebbero sfidare la sorte? Il motivo, in realtà, è uno solo. Padroneggiare il tempo. Meglio spiegare. Se ci si rende conto che prima o poi, in questi tre anni, Fini troverà un modo per far cadere il governo, allora tanto vale non lasciare a lui l’iniziativa. Si va in battaglia? E allora saranno loro a scegliere come, quando e perché. È per questo che Schifani e La Russa, tanto per fare due esempi, non escludono le elezioni a breve. Dicono: dipende dallo scenario politico. Appunto.
Fini non si accontenterà di fare il ribelle nella maggioranza. Non si fa tutto questo casino senza un piano, un progetto, una via di fuga. L’ex leader di An pensa di averla e il tempo gioca a suo favore. Ora i suoi uomini sono una pattuglia. Domani potrebbe allargarsi l’area dei delusi e dei contestatori. I finiani sono convinti, e sussurrano di sondaggi riservati, che gli italiani, soprattutto i ceti medio-alti e produttivi, una parte dello stesso elettorato di Lega e Pdl, non sono indifferenti alla politica della destra post-berlusconiana. L’obiettivo è quindi spiegare le proprie ragioni, prendere tempo e sparigliare l’attuale quadro politico. L’opposizione di sinistra, in questo momento, è uno spettatore non pagante. Fini può allearsi con altri uomini del centro, già in politica o disponibili a entrare, per costruire un grande partito trasversale sul modello Kadima, per dirla in israeliano.
O, in versione british, indossare i panni lib-dem di Nick Clegg, il terzo incomodo che sta pescando voti e popolarità nella zona grigia, sempre più vasta, tra conservatori e laburisti. Non è questo, in fin dei conti, il programma cross over di cui scrive ultimamente Campi, il teorico della destra finiana? L’unico piccolo problema è che l’Italia, a guardarla così, da vicino, non assomiglia tanto alla vecchia Inghilterra. Lì magari sono stanchi del bipartitismo, qui lo stiamo ancora aspettando.
Questa, comunque, è la partita che Fini sta giocando. Una lunga guerriglia nella maggioranza fino a quando il suo partito non sarà abbastanza forte da combattere in campo aperto. Non si torna indietro. Lunghi inverni di retroscena sono stati spazzati via da questa lite a muso duro, senza mediazioni, senza privacy. Berlusconi e Fini hanno messo in piazza tutto quello che da tempo covavano dentro. Non si sopportano. Ora c’è la prova concreta, visiva, di questa antipatia: le smorfie, i gesti, la voce, gli scatti di rabbia, gli occhi gelidi, i sorrisetti, le maledizioni, i «vaffa» stilizzati. La realtà è più cruda dell’immaginazione. Silvio e Gianfranco non sono più amici e neppure alleati. Su questo, almeno, concordano.

Ora bisogna decidere quando si andrà in guerra e comunicarlo a Napolitano. Una cosa è certa: il Quirinale non scioglie le Camere senza un motivo. Serve un casus belli. E serve credibile. Altrimenti gli italiani questa volta andranno veramente tutti al mare.

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