Mancò poco, dieci giorni fa alla Festa dell’Udc di Chianciano, che il segretario, Lorenzo Cesa, non cadesse in catalessi. Quando udì la platea osannare Emma Marcegaglia all’urlo - «dopo Cesa, Marcegaglia »-si chiese «e mo’che faccio?» e si sentì mancare. Che ne sarebbe di lui, infatti, se per fare posto a Emma, dovesse perdere la poltrona di segretario? Chi saprà più della sua esistenza? Come potrebbe compiacere Pier Ferdinando Casini, esserne il ventriloquo e servirlo come fa da trent’anni se perdesse la carica che glielo consente? Il momento peggiore è stato quando ha scorto il suo idolo alzare il braccio di Marcegaglia nel segno della vittoria, quasi a conferma di un futuro passaggio delle consegne. È lì che Cesa fu per svenire e già cercava lo spiazzo dove cadere senza farsi male, quando vide Casini fargli un segno che diceva: «Tranquillo. È tutta scena. Lo faccio per ingraziarmi il pubblico e conquistare l’abbraccio di questa sciocchina (e in quell’attimo Emma gettò le braccia al collo di Pierferdy, ndr ). Nessuno ti soffierà il posto. Mi servi troppo per dire le quisquilie che ti metto in bocca e che io mi vergognerei di dire. Col cavolo che ti mollo». E Lorenzo ritrovò il sorriso.
Cesa è segretario dal 2005. Prese il posto di Marco Follini che abbandonava l’Udc per il Pd, spezzando il trinomio che - come vedremo - da decenni componeva con Casini e Cesa. In sette anni, Lorenzo ha detto tutto quello che Pierferdy ha voluto fargli dire. Solo una volta parlò motu proprio .
Per arrivare a tanto, ci volle uno shock formidabile. Accadde quando nell’estate 2007 il deputato udc, Cosimo Mele, fu beccato con droga ed escort in un hotel romano. Un po’ per giustificare il collega e molto per innata insipienza, Cesa propose un aumento dellabusta paga dei deputati per portare le famiglie a Roma e vincere così le tentazioni indotte dalla solitudine. Pensava di avere parlato in coerenza con la linea dell’Udc che, come noto, è inesistente in tutto, salvo che nel ribadire il valore della famiglia. Invece, sull’unica iniziativa personale presa in vita sua, si rovesciarono frizzi e lazzi in tale quantità che dovette intervenire Casini. Fu brutale: «L’indennizzo per i ricongiungimenti familiari è una sciocchezza». Così, Cesa capì che era meglio se smetteva di pensare, poiché per fare di testa propria avrebbe dovuto innanzitutto averne una. Da allora, è rimasto fedele al proposito. Cesa, 61 anni, Follini, 58, Casini, 57, si conobbero casualmente poco più che ventenni- a metà degli anni Settanta - in un wagon lit di seconda classe. Erano nelle cuccette, uno sopra l’altro, e andavano a un congresso di giovani dc. Lorenzo, veniva dal paese natale, Arcinazzo Romano, in Ciociaria, dove il babbo era sindaco dc. Casini dalla sua Bologna. Follini da Roma dov’è nato e cresciuto. Quella notte - nessuno sa il perché - si legarono indissolubilmente. Poco dopo, li prese a benvolere un potente ottimate veneto, Toni Bisaglia, che li avviò agli agi di una tipica carriera da Prima Repubblica. Appena laureati, Cesa in Scienze Politiche alla Luiss e Casini in Legge a Bologna, furono piazzati all’Efim, carrozzone di Stato. Diventarono subito funzionari, cosa che a un mortale capita dopo vent’anni di carriera, e col beneficio di andare in ufficio quando gli pareva. La loro vera occupazione era infatti fare i portaborse di Bisaglia. Follini, il più intellettuale dei tre, finì invece nel Cda della Rai. Quando, come capita, uno di loro s’impanca contro favoritismi e raccomandazioni, ora sapete da che pulpito predicano.
Bisaglia, purtroppo, morì cinquantenne in circostanze misteriose nel 1984. I tre orfani cercarono nuove strade. Si imbatterono in Gianni Prandini, un doroteo bresciano in gran spolvero e più volte ministro. Dobbiamo a lui questo ritrattino del trio: «Erano indivisibili. Bisaglia li chiamava il bello, il bravo, il furbo. Casini, il bello, fui io a piazzarlo da Forlani. Follini, il bravo, andò con De Mita al quale Bisaglia lo aveva raccomandato prima di morire. Cesa lo tenni io. Ai miei usi infatti si confaceva il furbo».
Lorenzo, dunque, si accoccolò presso il ministro Prandini prima alla Marina Mercantile, poi ai Lavori Pubblici. Era l’addetto alle tresche. Di temperamento timido e impacciato, Cesa all’epoca non spiccicava due parole in croce. Tanto che Prandini, volendo un suo uomo al consiglio comunale di Roma, fece per lui i comizi, tenendoselo accanto come uno sherpa muto, e riuscendo a farlo eleggere. Lo infilò pure nel Cer, un comitato che distribuiva soldi per le case popolari. Accumulò anche altre prebende, tanto che gli fu affibbiato il soprannome di Madonna di Pompei degli incarichi. A furia di armeggiare, finì però nei guai. Ebbe un primo inciampo come consigliere comunale, con un rinvio a giudizio per abuso di ufficio. Erano in ballo 90 miliardi di lire elargiti dal Comune a un’azienda incaricata di censirne il patrimonio immobiliare. Gli inquirenti ci capirono poco e il processo finì nel nulla.
Andò peggio quattro anni dopo, nel ’93,quando Cesa rimase incastrato nello scandalo Anas. Contro di lui fu spiccato mandato di cattura per avere raccolto tangenti in nome di Prandini.
Per quarantotto ore, Lorenzo si dette alla macchia. Sfuggì alle ricerche grazie agli amici del cuore. Come ha confidato, passò una notte di latitanza da Casini, l’altra da Follini. Poi si costituì e fu sbattuto a Regina Coeli. Dopo qualche giorno di meditazione, dei sei che trascorse tra le sbarre, collaborò. Pare che il pm gli avesse promesso uno sconto di pena se faceva il nome di Prandini. Lorenzo non ebbe scrupoli e divenne loquacissimo. «Prelevai la borsa che mi consegnò l’imprenditore Tal dei Tali contenente il denaro e di cui non contai il contenuto.Mi portai nell’ufficio del ministro, nelle cui mani consegnai la capiente borsa». Oppure: «Pinco Pallino portò nel mio studio privato una busta contenente il denaro destinato al ministro e da me a questi consegnata senza neppure aprirla». Col miraggio di cavarsela, spiattellò qualsiasi cosa, inguaiando il ministro e una decina di costruttori per complessivi 35 miliardi (lire) di tangenti di cui era stato l’integerrimo postino. La prima sentenza arrivò nel 2001. Lorenzo fu condannato a tre anni e tre mesi di sole a strisce, contro il doppio di Prandini che non gli perdonò di averlo chiamato in causa. Anni dopo Prandini fu assolto, trascinando- suo malgrado - anche Cesa nell’esito felice.
Dopo queste grane, il Furbo lasciò pro tempore la politica. Fondò una società di pubbliche relazioni, la Global Media, associandosi con una damazza che restò impigliata in una storia di prostituzione a Montecitorio con gente dell’entourage di Max D’Alema.
Cesa non c’entrava nulla: è solo per dire la iella. Allora, Casini per toglierlo dai guai in cui continuamente si cacciava, lo riportò nell’Udc, gli ficcò una manovella in pancia e prese a usarlo come un giradischi per fargli dire quello che vuole lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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