L’esercito d’Israele pronto a invadere il Libano

Nei durissimi combattimenti morti otto militari di Gerusalemme, 9 feriti

Gian Micalessin

da Haifa

Ora Amir Peretz non lo nasconde più. L’invasione di terra del sud del Libano e forse anche la riconquista di Beirut non sono solo ipotesi, ma piani concreti. Piani pronti a scattare nei prossimi giorni e destinati a concludersi soltanto dopo la totale neutralizzazione di Hezbollah e della sua struttura di comando. La conferma arriva per bocca dello stesso ministro della Difesa durante una visita alle comunità assediate di Kiriat Shmona e Safed, sul versante nordorientale del confine israelo-libanese. «Non vogliamo occupare il Libano, ma se dovremo mettere a segno delle operazioni e dimostrare di esser pronti a colpire ovunque - ripete il ministro ai cittadini in piedi nei rifugi - lo faremo senza esitazioni».
Poche ore dopo quelle dichiarazioni devono far i conti con la difficile situazione del fronte di Maroun Ras. Lì, tra colline e boscaglie, le truppe israeliane già in territorio libanese incontrano una durissima resistenza. La battaglia in corso da 48 ore sul versante nordorientale della frontiera, tra il villaggio israeliano di Avivim e la cittadina libanese Maroun Ras, è ormai uno scontro serrato dal bilancio confuso. Le fonti di Tsahal in serata ammettono la morte di otto soldati e il ferimento di altri 9 e si attribuiscono l’uccisione di almeno quattro guerriglieri del Partito di Dio. Sul fronte libanese Al Jazeera e alcune emittenti libanesi parlano di almeno tre soldati israeliani uccisi e di un elicottero abbattuto. La guerra ha sicuramente già ucciso la verità, ma da questo miscuglio di propaganda e censura militare emergono almeno due certezze. La prima, inconfutabile, è che tra le colline di Maroun Ras si combatte una battaglia durissima. La seconda riguarda la capacità militare e il livello di addestramento dei guerriglieri sciiti. Entrambi, a giudicare da questo primo assaggio di guerra, superano le più pessimistiche previsioni dei generali ebraici. E le centinaia di raid aerei israeliani non sembrano in grado di poter mettere a tacere i missili di Hezbollah. Anche ieri, dopo otto giorni d’incursioni, almeno trenta razzi hanno colpito Tiberiade, Kiryat Shmona, Carmiel, Safed, Nahariya e altre località della Galilea.
Amir Peretz ieri mattina non lo può sapere. Si è svegliato in mezzo ai missili palestinesi per correre in mezzo a quelli del Partito di Dio. La sveglia gliela danno, come lui stesso racconta, i Qassam lanciati dai palestinesi sulla cittadina di Sderot, dove lui continua a vivere. «L’allarme anti-Qassam di Sderot è suonato alle 6.14, un’ora e mezzo dopo ero a colloquio con il comandante del fronte settentrionale, e mentre guidavamo uno sbarramento di missili colpiva la zona», racconta compiaciuto il ministro della Difesa ai cittadini assediati dalle katiuscia. «Non ho più dubbi, questa battaglia ha unito ancora di più lo Stato d’Israele e tutti i suoi cittadini dal nord al centro, al sud del Paese». I toni sono più da maresciallo che da ex sindacalista di sinistra. «Il nostro governo è responsabile di tutti i cittadini d’Israele - tuona Amir Peretz -, quello di Beirut se vuole essere veramente sovrano deve essere in grado di dimostrare lo stesso livello di responsabilità». Parole interpretate da qualcuno come la minaccia di un possibile, imminente, ritorno delle truppe di Tsahal nella capitale libanese. E alle quali in serata fanno eco quelle del suo omologo libanese: «Se Israele invade, il nostro esercito è pronto».
Anche la lettera indirizzata dal capo di stato maggiore generale Dan Halutz ai soldati non fa sperare in una soluzione vicina o immediata. «I combattimenti nel nord si aggiungono a quelli in Giudea, nella Samaria e a Gaza, e potrebbero continuare per un lungo periodo. La nostra forza morale e ideologica si rifletterà sul Paese e contribuirà alla nostra capacità di fronteggiare le minacce interne. Sarà una prova per tutti noi», scrive il generale con il tono di chi prepara le sue truppe a una lunga e non facile guerra.
Del resto c’è poco da illudersi. Nasrallah, il leader di Hezbollah, ha ripetuto anche ieri che lui libererà i soldati israeliani rapiti solo in seguito a uno scambio di prigionieri. E i rapporti in arrivo nella sala comando dal fronte apertosi tra Avivim e il villaggio Maroun Ras parlano chiaro. I combattimenti assumono una brutta piega sin dalla mattina, quando un carro armato Merkava viene colpito da un razzo. Tre uomini dell’equipaggio sono feriti e uno appare subito in gravi condizioni. Mentre gli incursori fanno quadrato per proteggere l’evacuazione, un altro blindato viene colpito, e la risposta israeliana uccide due guerriglieri di Hezbollah.
La battaglia intorno al reticolo di gallerie, avamposti e piazzole di lancio per i missili continua per tutto il pomeriggio. In questa seconda strenua fase dello scontro il numero dei soldati israeliani feriti raggiunge i nove.

Ma i combattimenti sono così serrati e a distanza così ravvicinata da rendere difficile persino l’intervento degli elicotteri. Per Dan Halutz e per i generali riuniti nella «situation room» quella battaglia diventa l’immagine in scala ridotta di quanto dovranno affrontare se daranno il via all’offensiva di terra su tutto il fronte.

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