L’eterna maledizione della proporzionale

Questa è una vecchia canzone di Rino Gaetano. Radio e tv digitali la trasmettono spesso, forse perché da quella fine anni Settanta alcuni ritornelli sono rimasti gli stessi. Quella voglia di partiti, partitini, cespugli, centri, centri del centro, ali, correnti, scissioni e dissidenti. L’arrangiamento è un vecchio reggae mediterraneo, il testo è strafamoso: nuntereggae più/dcpsi nuntereggae più/dcpci pcipsi plipri dcpci pcidc/nuntereggae più.
Era l’Italia da Prima Repubblica, con il manuale Cencelli per un posto alla Rai o nel parastato. Era l’Italia del fattore K, quando il Pci era un’anomalia e la Democrazia cristiana giocava a risiko con le tessere. Era l’Italia del parlamentarismo e dei governi balneari, dei sindacati consociativi, dell’onda lunga socialista e dei post-fascisti nel ghetto. Poi sono arrivati gli anni Ottanta e sono finiti con un boato assordante, tanto da ribaltare la storia. A Berlino era caduto il Muro. I Novanta cominciarono con i referendum di Segni per il maggioritario, il sogno di una democrazia anglosassone, bipolare, senza giochi di Transatlantico. Gli italiani votarono in massa contro partiti e partitini, Tangentopoli li seppellì. Qualcuno disse che stavamo nella Seconda Repubblica. Con un solo problema: il mondo era cambiato, ma le istituzioni erano quelle di sempre. Nessuna riforma, la costituzione blindata, il presidenzialismo una chimera, il federalismo una sfida infinita. La Seconda Repubblica è rimasta un’incompiuta, come quella abbozzata da Beethoven prima della morte.
Dario Fertilio, quando sono passati quasi vent’anni dal referendum sul maggioritario, e dopo bicamerali e patti della crostata mai digeriti, indaga sul perché l’Italia politica è ferma in mezzo al guado. Il titolo è Maledetta proporzionale (Libertates, pagg. 134, euro 10). Fertilio prende spunto da un’imprecazione di Giovanni Giolitti. Era il capodanno del 1923 quando scrive quelle due parole «Maledetta proporzionale» come incipit della lettera spedita all’amico Luigi Ambrosini. Quella legge elettorale aveva reso instabile qualsiasi coalizione e ingovernabile il Paese, generando caos. Mussolini ne aveva approfittato.
Si parte da lontano, ma la questione è sempre la stessa. La partitocrazia è un’illusione di democrazia. È la fandonia del governo del popolo. Ma il popolo non governa, il popolo sanziona, controlla, sceglie. Aveva ragione Popper. La domanda a cui deve rispondere la democrazia non è «Chi deve comandare», ma «Chi controlla chi comanda?».
In Italia tutti vogliono governare, soprattutto le minoranze, ma nessuno ha la pazienza di controllare. Le opposizioni non fanno politica, ma cercano scorciatoie per andare al governo senza passare dal voto.

La conclusione di Fertilio è che questa Seconda Repubblica è nata bastarda e nessuno la voleva davvero. I più reazionari hanno ibernato la Costituzione, gli altri erano troppo occupati a difendersi. In questa Italia non c’è posto per Obama e per McCain. La chiarezza ci fa paura.

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