L’Europa di Del Piero Forse è l’ultima ma lui non ci vuol stare

La Juve torna in Champions e Alex vuole il posto. Però l’età avanza e la concorrenza pure: il rischio è che diventi un monumento scomodo

Come tutti i vecchietti, Alex Del Piero si sta incarognendo sul suo «esserci o non esserci». Gli manca la sdentatura sul davanti, la parlata col fischio, il cappello di traverso eppoi sarebbe una meravigliosa comparsa da film western. E per colt due piedi che hanno saputo sparar fuori magie calcistiche. Oggi Del Piero sarà meno incarognito. La Juve torna in Champions e tutto il suo popolo ha intonato uno scampanellare felice che dice: siamo tornati!
La Juve rientra in Champions, dopo il suo limbo, forse dimenticando che l’Europa le ha dato più delusioni che soddisfazioni (ne ha vinte solo due). E Del Piero c’è. Con tanto di pedigree (16 stagioni, 13 trofei vinti, 242 gol con la Juve) e voglie, con tanto di carta d’identità che tende ai 34 anni e di tempo che corre e non lo spinge verso l’elisir di giovinezza. Potrebbe essere l’ultima sua Champions. Forse sarebbe meglio lo fosse. Magari non lo sarà. Ma quel dire di Ranieri: «Del Piero gioca se è in forma, altrimenti faccio giocare Boniperti» è stato uno schiaffo, poi riveduto e corretto secondo uso calcistico. Ma non tanto da lasciar fraintendere aria e rapporti.
Oggi Del Piero è più monumento che giocatore. Rifarsi a Boniperti è un modo per ripensare alla Grandeur. Come se il Milan si rifacesse a Rivera o l’Inter a Suarez. Ma è un modo per dire che il tempo finisce per tutti, che l’ora passa, che bisogna aver rispetto ma, soprattutto in uno sport così legato al filo dell’imprevisto e dell’improbabile, non ci può essere spazio per il sentimentalismo. L’esempio del Milan ha aperto gli occhi a tanti e forse spaventa. Del Piero è adorato dai tifosi ed è un merito. Non sempre, e non altrettanto, da tecnici (Juve e nazionale) e dirigenti. Qualcuno lo avrebbe lasciato andar via volentieri. Venderlo avrebbe portato danari in cassa e magari qualche talento in più sul campo.
Oggi il marchio Juve che torna in Europa è legato all’immagine di un capitano, ma alla sostanza di altri giocatori. Strano per una società che ha saputo così ben sfogliare l’album dei ricordi, abbandonando stelle e icone quasi sempre al momento giusto. Ad un cammino in Europa è legata la Juve di Boniperti-Sivori e Charles che mai ha vinto, ma è rimasta quella del trio magico. E Boniperti è passato dal campo alla scrivania quando stava diventando ingombrante. Alla Juve di Platini è legata la storia dell’Heysel e di quella coppa piena di sangue. E, a 32 anni, due anni dopo, Monsieur Michel ha lasciato la compagnia forse con un pizzico di anticipo, ma con gran senso pratico: vattene prima che ti caccino. Meglio farsi rimpiangere che farsi compiangere.
La seconda coppa, diventata Champions, è legata a Del Piero e Vialli. Come quelle altre perdute sono legate, per esempio, a Zidane e Trezeguet. Vialli è stato il simbolo di una certa Juve (lasciamo stare i bicipiti ingrossati e tutto il resto), ma nessuno ha perso tempo a dargli il benservito. Così com’è successo con Roberto Baggio. Tutta gente che ha disegnato l’immagine di una Juve che sapeva andar al di là del nazional popolare. Zidane se n’è andato permettendo alla società uno degli affari economici più apprezzati e valorizzati.
Oggi la Juve torna con la coppia che forse contraddice questa idea del «grande e cinica»: Trezeguet e Del Piero sono storia e gol. Ma non futuro.

A suon di numeri raccontano una squadra con un attacco atomico, uno dei più forti d’Europa, in compagnia di Iaquinta e Amauri. Ma, con i numeri, Del Piero e Boniperti giocherebbero sempre. E la Signora omicidi non avrebbe mai smarrito la sua fama.

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