Non lo nasconde. Anzi, lo afferma a chiare lettere: «Einer Müller è il mio autore preferito». È logico dunque chiedere a Elio De Capitani perché, se si eccettua un radiodramma del 1999, si sia deciso a metterlo in scena solo ora, dopo trentaquattro anni di carriera.
«Perché non sono un artista libero di decidere in ogni istante come e quando fare qualcosa - prosegue -. Dirigo un teatro, e ciò mi impone responsabilità di gestione del gruppo e dei programmi. Adesso si è presentata l'occasione da prendere al volo, avendo a disposizione quattro attori con cui ho sentito di poter affrontare questo lavoro. Quello più "mio" da quando faccio questo mestiere».
I quattro sono Cristina Crippa, Francesca Breschi, Fabiano Fantini e Cristian Giammarini, interpreti di uno spettacolo dal triplice titolo - Riva abbandonata, Materiale per Medea, Paesaggio con Argonauti - che, per comprensibili esigenze di sintesi, De Capitani intende come Medea di Müller. Lo spettacolo è in scena al Teatro dell'Elfo, ridotto alla metà della capienza (180 invece di 360 posti) per lasciare spazio alla magnifica scenografia pensata da Carlo Sala: un paesaggio arido e rovinoso, al centro del quale un laghetto oscuro simboleggia il Mediterraneo solcato dall'Argo di Giasone.
«Medea di Müller parla dell'Europa oggi - prosegue il regista -. Del suo rapporto con la conquista, dei rapporti tra uomo e donna, del tradimento dell'identità. Eccolo, il tema di questo secolo: l'identità. Una trappola che si trasforma in campanilismo, nell'affermazione di un "io" esclusivamente individuale che rende impossibile affrontare gli altri. Nella terza parte, il paesaggio con Argonauti costruito con video di soldati di ogni epoca nelle guerre di conquista, Müller fa parlare i morti in un "io" collettivo che vuole preservare da quella trappola».
Il culto dei morti celebrato dall'autore è un altro dei temi su cui De Capitani insiste, per sottolineare l'importanza della memoria nella costruzione del futuro. «È il lascito più prezioso di cui disponiamo - prosegue -, quello su cui dovremmo fondare la nostra cultura. Non c'è futuro senza memoria non è solo uno slogan: è verità. Ecco perché i conservatori, intesi non in senso politico ma come coloro che vogliono conservare e tramandare, sono gli individui migliori. In questo, pur lontani nelle posizioni politiche, l'Eliot di Terra desolata e Müller sono strettamente legati».
Eliot è il punto da cui parte un gioco vorticoso di citazioni. Il prologo dello spettacolo è un cabaret macabro in cui i personaggi, coperti in volto da maschere a teschio, ballano irriverenti un boogie ricordando La sposa cadavere, film animato di Tim Burton. Tra le musiche si affaccia il Jimi Hendrix del lacerante inno americano di Woodstock '69 e una canzoncina, La Paloma, cantata da Hans Albers in un film di serie minore. E in uno dei passaggi più drammatici, Hölderlin si innesta su Müller per dire che le bombe vincono sulla poesia.
«D'altronde lo dice lo stesso autore: il mito degli Argonauti è il primo episodio di colonizzazione della storia, il momento in cui nasce l'Europa. E Giasone, ucciso dalla sua stessa nave come da un'arma impropria, mi ha ricordato gli aerei lanciati contro le Twin Towers: un simbolo di unione tra continenti, l'aereo, usato come arma impropria contro civili inermi».
Il grado di attenzione che questa Medea - andata in scena per la prima volta nell'83 e costituita da testi scritti trenta e quindici anni prima - chiede allo spettatore è alto, soprattutto se si vogliono cogliere tutti i richiami artistici. «Lo so, e la cosa non mi spaventa - conclude De Capitani -.
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