L’illuminista Beccaria «consulente» di Sarkozy

Che cosa accomuna Cesare Beccaria a Luigi Einaudi? Apparentemente nulla. Il primo è famoso come giurista, il secondo come economista. In realtà tanto, perché Beccaria fu anche filosofo e, soprattutto, grande economista. Schumpeter lo paragonava addirittura ad Adam Smith, chiedendosi chi dei due fosse più eccelso. A ricordarcelo è Alberto Quadrio Curzio, che nel suo ultimo libro (Economisti ed economia. Per un’Italia europea: paradigmi tra il XVIII e il XX secolo, 2007, il Mulino, pagg. 390, euro 29), ripercorre la vita e le opere di alcuni dei più grandi pensatori della storia economica italiana, trovando sorprendenti analogie, oltre che tra Beccaria e Einaudi, tra Verri, Cattaneo, Vanoni, Saraceno, Vito, Demaria e Fuà. C’è una continuità, valorizzata nel tempo da enti come l’Istituto Lombardo-Accademia di Scienze e Lettere e la Società italiana degli Economisti.
È un saggio storico? Senza dubbio, ma soprattutto un insegnamento all’Italia di oggi impartito con garbo e raffinatezza. Scrive Quadrio Curzio: «L’idea che in Italia si possa importare un qualche modello di altro Paese e trapiantarlo meccanicamente non è realistica». Ed è addirittura criminosa quando si può far riferimento ad «archetipi» nazionali che restano di straordinaria attualità. Con valenze, peraltro, che superano i nostri confini.
Leggendo questo saggio mi sono accorto che Sarkozy, pur non conoscendo verosimilmente il Beccaria economista, ne ha applicato uno dei principi fondamentali, elaborato nel 1762; quello secondo cui solo attraverso l’analisi dei fenomeni sociali si possono elaborare le politiche economiche necessarie per governare efficacemente il Paese: «Facciasi una legge conforme a verità e cesserà la disubbedienza del popolo». Sarkozy ha fatto proprio questo: anziché puntare sulla demagogia, tipica della moderna classe politica, ha preferito elaborare un programma ritagliato sui bisogni, sui limiti, sulle virtù della società civile francese, da lui accuratamente studiata. E se può Sarkozy perché non un politico italiano?
Oggi i «guru» anglosassoni scrivono che un leader vincente deve dar prova di flessibilità e di poliedricità. Essere un buon tecnico non basta più per primeggiare: occorre essere colti ed aperti di spirito. Nel suo saggio Quadrio Curzio dimostra come la grandezza degli economisti italiani risiedeva proprio nella capacità di essere anche scienziati, o letterati, o amministratori pubblici, o statisti. E di saper elaborare una visione che, pur nella consapevolezza del comune destino europeo, emanasse dal radicamento nella società civile. Non è quel che si chiede a chi è chiamato a governarci?
Proprio la società civile esercita un ruolo fondamentale come potere intermedio tra l’individuo e lo Stato e, dunque, tra gli eccessi di un liberismo egoistico e la distruttiva invadenza del Pubblico e in un nazionalismo fuori dal tempo. Leggendo Economisti ed economia si riscopre il pensiero lombardo del Settecento e Ottocento «in cui l’azione utilitaria dell’individuo si combinava con la presenza delle Istituzioni come strumenti per la migliore soddisfazione dei bisogni dei cittadini». Un moderatismo-riformismo, di cui oggi è difficile trovare traccia sia a destra sia a sinistra, con l’eccezione del solito Sarkozy; ma in Francia.

L’Italia cerca ancora una risposta, che Quadrio Curzio traduce nella formula, affascinante, del «liberalismo comunitario», capace di far convivere tradizioni e modernità, Nazione ed Europa, identità e globalizzazione, mercato ed equità sociale. Un bel progetto; c’è qualcuno, tra i politici, disposto a interpretarlo?
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