L’inflazione si scalda: rincari in vista

Dai rinnovi contrattuali altre minacce per i prezzi

L’inflazione si scalda: rincari in vista

Rodolfo Parietti

da Milano

Sarà impossibile far finta di essere sani, di essere immuni dal virus dell’inflazione. Se ancora non ce ne siano accorti, basterà aspettare il prossimo gennaio, quando potrebbero scattare aumenti delle bollette di luce e gas, rispettivamente, del 3 e del 5%. Le famiglie, stando ai calcoli del Rie (Ricerche industriali energetiche), dovrebbero dunque sostenere un esborso annuo aggiuntivo di oltre 60 euro, da sommare ai 120 euro già versati nel 2005 per compensare i rincari scattati a causa del petrolio. Poi, ci sono le banche centrali. Ossessionata dallo spettro di Weimar, la Bce ricorda ogni giorno che l’inflazione è una minaccia; e presto, non appena Ben Bernanke avrà preso il posto di Alan Greenspan alla Fed, anche da oltre Atlantico arriveranno gli stessi allarmi.
Insomma: con l’inflazione (oltre il 5% negli Usa, al 2,5% in Eurolandia) bisognerà sempre più fare i conti. Anche perché le banche centrali hanno un solo antidoto contro la risalita dei prezzi: l’aumento dei tassi. Con le spalle protette da una crescita robusta, in poco più di due anni l’America ha pilotato il costo del denaro dall’1% del giugno 2003 all’attuale 4%. E l’opera di aggiustamento della rotta monetaria non è ancora finita secondo gli economisti, le cui previsioni collocano al 4,75% i Fed Funds entro la fine del prossimo anno.
La Bce, invece, ha avuto finora le mani legate da un ciclo economico asfittico, sola ragione per la quale i tassi sono rimasti inchiodati al 2% dall’estate 2003. Ma la scorsa settimana Jean-Claude Trichet, presidente dell’Eurotower, ha messo tutti sull’avviso: l’istituto - ha detto - è pronto ad agire in qualsiasi momento. A sentire l’Adusbef, le banche italiane avrebbero subito raccolto il messaggio giocando d’anticipo con un rialzo di mezzo punto dei tassi d’interesse. Una manovra che rischia di avere ripercussioni sulle capacità di finanziamento delle imprese (e quindi sul livello degli investimenti), di innescare un giro di vite sui mutui immobiliari (riducendo di fatto ulteriormente il reddito disponibile di molte famiglie), e - in prospettiva - di portare a un rallentamento del mercato immobiliare (che ha largamente beneficiato di tassi reali prossimi allo zero).
Il petrolio resta inoltre la principale miccia d’innesco dell’inflazione, anche ora che le quotazioni del greggio sono lontane dal picco di 67 dollari il barile della scorsa estate. Un inverno più rigido del previsto, nuove tensioni geopolitiche, problemi di approvvigionamento o di raffinazione potrebbero far ripartite la corsa dei prezzi. Tutto ciò, in un quadro valutario profondamente cambiato. Fino a qualche mese fa, la forza dell’euro aveva ammortizzato le tensioni petrolifere; ma nell’ultimo semestre la moneta unica ha lasciato sul terreno circa il 6% nei confronti del dollaro, penalizzata dal crescente divario con i tassi americani. Per quanto la Bce possa stringere i bulloni del costo del denaro, è improbabile che lo spread venga colmato nel breve-medio periodo. Se non subirà uno stop provocato dall’abnorme deficit commerciale, il biglietto Usa dovrebbe continuare ad apprezzarsi e la bolletta energetica dei Paesi di Eurolandia diventare ancora più salata. A quel punto i contraccolpi inflazionistici sarebbero inevitabili.


Resta infine da valutare quanto la tornata di rinnovi contrattuali (che in Italia riguarda categorie numericamente importanti come i metalmeccanici) impatterà sull’inflazione. Un elemento non trascurabile, viste le difficoltà dell’Europa a compensare attraverso la crescita della produttività gli aumenti salariali.

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